martedì 14 settembre 2010

Antonio Escohotado: Euforia chimica e dignità umana

Discorso di apertura per la conferenza multidisciplinare “Entheobotany: Shamanic Plants Science”, tenutasi presso il Palace of Fine Arts, San Francisco, 18-20 ottobre 1996
Ebbrezza è un termine poco comune nell’inglese di oggi, sebbene appaia nel Webster’s Dictionary con la definizione di: “I. Ubriachezza, intossicazione abituale”, e “2. Ilarità”. La mia intenzione è quella di definire l’ebbrezza come esperienza dello spirito umano, permettetemi quindi di iniziare con una distinzione tra inebriamento – methe in greco antico, ebrietas in latino e ubriachezza (abituale o meno).
Nella città di Roma, ad esempio, la vendita di farina di frumento e oppio era sottoposta al controllo del pubblico Tesoro, al fine di evitare speculazioni sul prezzo e all’epoca di Augusto – il primo imperatore – quasi mille negozi vendevano oppio in città e nei dintorni. Curiosamente, gli ubriachi erano definiti temulenti (o altri termini più spregiativi) mentre i consumatori di oppio non avevano alcun nome, come avviene oggi per chi usa aspirina o valium; e infatti, non viene citato un solo caso di oppiomania negli annali della storia romana e lo stesso si può dire del periodo greco classico ed ellenico.
Se ci volgiamo ad oriente, inni antichissimi del Rig Veda condannano le bevande alcoliche come sura, oscurità, ma definiscono l’ebbrezza come qualcosa che libera dal peso della forza di gravità, che “ci trasporta sul carro dei venti”. Possiamo notare lo stesso atteggiamento in molte culture aborigene d’America, dove l’ebbrezza è descritta con un gran numero di parole, sebbene vino e liquori siano stati laggiù importati dall’Europa solo dopo la Scoperta. Ciò non significa che le bevande alcoliche non producono ebbrezza, ma semplicemente che l’ubriachezza appartiene ad un gruppo ristretto, mentre l’ebbrezza ad uno ben più vasto.
Filone di Alessandria, il filosofo ebraico platonico che ispirò il quarto Vangelo, scrisse tra l’altro De Ebrietate, un breve trattato che definisce l’ebbrezza “gioia sacramentale” e fa risalire il termine “all’antico costume di compiere sacrifici religiosi”. Secondo lui, methe (inebriamento) deriva da methiemi, un verbo che significa liberare, permettere e quindi da thyein, che sta per “dare a dio il suo”.
L’ebbrezza rituale prevede una distinzione tra possessione e trance visionaria. Con droghe quali alcol, tabacco e altre solanacee psicoattive, determinate esperienze di possessione (come il vudu, il candomblé o la Semana Santa di Siviglia) provocano attacchi di frenesia fisica che obliterano le facoltà critiche della coscienza. Grazie alla musica e al ballo continuato, il risultato che si ottiene è quello di raggiungere uno stato mentale che è l’opposto della lucidità. Al contrario, le trance visionarie sono catalizzate da droghe che aumentano la percezione e non attenuano la lucidità; anch’esse possono essere accompagnate da musica e danze, ma il loro normale effetto è un viaggio psichico, prima o poi introspettivo e non una muta e sorda spossatezza.
Oltre che in funzione sacramentale, tutti i vari tipi di droga sono stati usati in contesti terapeutici e ricreativi. Nel sesto secolo prima di Cristo, Ippocrate, il fondatore della medicina scientifica, raccomandava l’oppio come rimedio per i “soffocamenti isterici” e Teofrasto, il pupillo di Aristotele, stabiliva vari dosaggi di datura metel per lo svago, le allucinazioni e l’eutanasia. Prima dell’imporsi del cristianesimo come religione di stato, le sostanze psicoattive erano considerate “spiriti neutri”, opportuni o inopportuni, buoni o cattivi in accordo solo in accordo con l’individuo e le circostanze. Praticanti medici di vario tipo consideravano l’euforia - da euforìa: “giusto umore” - qualcosa di salutare e terapeutico di per sé. Si impose poi il sacrificio ortodosso della Messa; sesso e droghe vennero marchiate come cose sospette e subito dopo soggette l controllo poliziesco. Libri e biblioteche vennero bruciati, la conoscenza farmacologica distrutta; l’eutanasia, un tempo ritenuta un segno di eccellenza etica, divenne un crimine contro Dio.
Molto tempo dopo, quando parte della conoscenza classica venne recuperata tramite gli Arabi ed iniziarono a formarsi delle crepe nel monolite Chiesa/Stato, anche le droghe rifecero la loro apparizione. Nel sedicesimo secolo, Michel de Montaigne riprese un concetto che era stato posto sotto silenzio per più di un millennio: “è meglio bere come i pagani, al fine di rilassare l’anima.” . Quello era, in effetti, l’atteggiamento pagano: rilassare l’anima e al tempo stesso evitare i comportamenti sconvenienti. I Dialoghi di Platone citano tre di questi ‘effetti collaterali’: insensibilità, goffaggine e cupidigia. D’altra parte, rilassare l’anima conduce al piacere e alla comunicazione. Conseguire questi ultimi ed evitare i primi è l’arte della sobria ebrietas ( “inebriamento sobrio” ), arte che richiede un certo grado di padronanza della nudità, giacché l’ebbrezza può esporci agli occhi degli altri – come avvenne per Noè, considerato il primo bevitore – ma nel contempo stempera la rigidità del carattere, svelando l’innocenza: il bimbo può allora ricomparire e vedere ogni cosa sotto una nuova luce.
La dipendenza, l’assuefazione, non erano considerate sconvenienti. Potevano essere ritenute una mescolanza di insensibilità, goffaggine e cupidigia (gli inconvenienti della ebbrezza semplice), ma la dipendenza non esisteva come termine – i nostri antenati pagani guardavano con occhio molto più critico la dipendenza al ruolo sociale, al denaro, al sesso e a un gran numero di altre cose, come la dieta e l’igiene, piuttosto che l’abitudine ai funghi, alla vite, ai campi di papavero o alle piante di canapa. In materia di inebriamento, ciò che contava maggiormente per loro era la “familiarità”, il grado cioè di conoscenza di ogni sostanza, combinata con il principio che sola dosis facit venenum (“solo la dose crea un veleno”). Se i livelli di sicurezza non venivano superati, ogni droga avrebbe probabilmente intensificato le inclinazioni naturali della persona, nel bene e nel male. Secondo i nostri antenati, questo era più o meno tutto ciò che una persona aveva bisogno di avere come informazione preventiva.
La nozione di sobria ebrietas può essere contrastata dal credo astemio, come pure dalla moderazione relative ed assoluta. Tuttavia, i filosofi, i medici e i poeti ritengono che bere sobriamente, “viaggiare” onestamente, offrano un surplus di autostima e di razionalità. I bevitori sobri e gli onesti “viaggiatori”, agiscono con o senza droghe; gli astemi devono al contrario evitarle per poter agire. Il primo tipo di persona godrà della nudità interiore ed esteriore, guidato dall’entusiasmo di Dioniso. Il secondo tipo di persona eviterà l’inebriamento, temendo la propria disapprovazione o quella degli altri. Le droghe minacciano le loro maschere di compostezza.
Nel suo primo libro, Nietzsche definì l’ebbrezza come “il gioco della natura con l’uomo”. Giocare non equivale a costruire o a lavorare. Non viene fatto per necessità; c’è sempre una qualche forma di piacere come carburante: giochiamo perché giochiamo, in modo gratuito. Lasciatemi aggiungere che questo gioco include due elementi in perpetua associazione: il cosa e il chi. Divisa in qualcuno che percepisce e qualcosa che viene percepita, scopriamo che la conoscenza è il nostro destino, poiché noi siamo il chi, il resto è il cosa e la continua relazione di soggetto e oggetto crea la scienza. Uniti, il chi e il cosa rappresentano la vita, la semplice vita. La conoscenza tende a separare, ad analizzare, così come la vita tende ad incorporare, a compiere una sintesi.
Ma noi siamo normalmente da una parte sola, sostenuti dalla memoria. Per l’identità personale, la memoria equivale al filo che unisce le perle di una collana. Amnesia è l’esatto opposto, l’insieme casuale di impressioni. L’ebbrezza, l’inebriamento, giocano con noi in quanto la memoria è ancora lì, che registra ciò che pensiamo e facciamo in uno stato modificato di coscienza….ma quello stato mentale confonde i confini tra questo e quello. Abbandonato dalla routine, un orizzonte di letterale orgia – orguìa significa confusione, mescolanza – sembra cospirare contro il senso comune. Saremo in grado di tornare indietro intatti, evitando situazioni ridicole, l’orrore, persino il crimine?
La nostra identità è una collezione di specchi e quando l’ebbrezza apre nuovi paesaggi alla nostra vista, il riflesso abituale diviene una sorta di ‘versamento’, dal dentro al fuori, percepito come mancanza di limiti. La mia esperienza (in casi simili) è che le sensazioni soggettive non sopraffanno durevolmente una sensazione oggettiva – chiamatela natura, amore o vita. Tale sensazione non è radicata nella memoria e ci dice sì, vai avanti. Ecco perché una persona affetta da amnesia può dimenticare il proprio nome, il numero del passaporto, la propria professione, ma ricorda perfettamente come muoversi, parlare, pensare. Il suo ego può essere diventato un guscio vuoto, ma egli è tanto pieno di obiettività (di se stesso) quanto lo era prima dell’amnesia. Similmente, l’ebbrezza ha una relazione con il mondo che può essere estranea alla dominazione a alla sottomissione. Al contrario, giochiamo. Le regole del gioco sono inventate da un mondo improvvisamente libero da convenzioni. Tornati nell’età dell’infanzia, la lezione è come imparare giocando, come giocare ancora.
Ci viene detto che le droghe psicoattive conducono l’uomo alla perdizione, relegandolo in tuguri miserabili – fisici e mentali. Ma io non ho mai incontrato un uomo o una donna che siano stati dannati dalle droghe. Di certo ho conosciuto persone infelici, persone che non hanno mai conosciuto questa sensazione di incondizionato sì, vai avanti e che – comprensibilmente – cercavano un alibi, un pretesto per la loro tristezza di fondo. Queste persone, che di certo meritano la nostra compassione, vengono ora usate come un universo statistico per provare la leggenda che le persone vengono rovinate da questo o quell’ alcaloide. Questa leggenda non è solo fallace; è un insulto all’umanità nel suo complesso, esattamente come venne insultata la ragione umana quando la Santa Sede decretò che la Bibbia sarebbe stata meglio compresa se restava in un linguaggio sconosciuto al pubblico e veniva spiegata esclusivamente dal clero. Siamo evidentemente deboli e indegni, secondo i nostri interpreti i e protettori ufficiali.
Oltre che essere motivata dal profitto e dall’ambizione politica, la leggenda moderna sulle sostanze psicoattive è radicata nell’autoinganno e nella frode. Baudelaire, che coniò il termine “paradisi artificiali”, cita il caso di un giudice francese molto severo che voleva bandire il can-can e che, dopo aver ingerito dell’haschisch, si lanciò in una danza oscena. Molti “abusologi” moderni nel campo delle droghe non si limiterebbero probabilmente ad una danza indecente, in simili frangenti; potrebbero addirittura collassare in totale paranoia. Potremmo dire che l’haschisch è psicotossico, ma in effetti qui la sola sostanza realmente psicotossica è la personalità autoritaria, il “mostro nascosto” che Baudelaire e amici scoprirono nel severo giudice.
Vent’anni fa io e alcuni amici dovemmo sorbirci un giovane psichiatra che cercò in tutti i modi di rovinare una seduta con mescalina affermando che saremmo tutti quanti impazziti. Cosicché qualcuno si prese gioco di lui e gli disse che anche nel tè che aveva bevuto era stata messa della mescalina. Ovviamente il tè era solo tè, come mi affrettai a spiegargli. Ma la verità non era evidentemente abbastanza e il nostro “abusologo” iniziò ad avere un attacco di panico, da principio con la paura di danni al fegato e al cuore, quindi di collasso nervoso e che finì con l’uomo che correva mezzo nudo e scalzo per i campi – eravamo in una casa di campagna piuttosto isolata, a Ibiza, diretto alla più vicina stazione di polizia e al sollievo del valium. Oggigiorno quel tale fa un sacco di soldi con la presunta cura delle malattie mentali ed è stato assunto in qualità di esperto presso L’International Narcotics Board, l’agenzia delle Nazioni Unite.
Tuttavia, cosa possiamo dire circa i veri bad trip? Le persone esperte sanno che durante l’esperienza il grado di ansia, sofferenza e disorientamento può essere straordinario, e che la percezione della nostra povertà e impotenza in così tante cose ancora peggio. Mi spingerei ad affermare che raramente una profonda escursione psichica sarà priva di qualche picco di disorientamento, persino le più gloriose. In un modo o in un altro siamo condotti in stati insoliti, spesso accompagnati da una intensità tale che è impossibile non provare un sentimento di paura reverenziale. Ma quando si sperimenta un bad trip – o semplicemente un momento difficoltoso di un qualsiasi viaggio – nulla è più inutile di pensare di essere stati avvelenati o attaccati da forze esterne. Molto meglio accettare il fatto: “Sto male” – e subito dopo realizzare che non c’è giustizia, non c’è giustezza nel mondo. Tale realizzazione ci conduce sulla via della scoperta, giacché un estremo provoca l’altro e siamo quindi in uno stato in cui riconciliazione e gratitudine possono essere parimenti straordinari. Nel 1959, parlando di LSD, Aldous Huxley diceva:
“Dobbiamo conoscere tramite l’esperienza il senso del concetto che ‘Dio è amore’, realizzando che morte e sofferenza certamente esistono, ma che anche così ogni cosa è, in un modo o nell’altro e alla fin fine, perfettamente in ordine”.
Questo stato d’animo è ciò che io chiamo umore obiettivo, obiettività ed essere in contatto con esso è la sola cosa salutare che conosco. Allora realizziamo che un composto chimico ci ha condotto in un luogo in cui altri sono stati o sono usando altri strumenti. Ma se questa sensazione viene perduta, invece di qualcosa di salutare otterremo un ibrido di paura, rabbia e stupore. E’ mia opinione che il valore delle droghe – in particolare le droghe visionarie – risiede nella loro capacità di diagnosticare il nostro grado di contatto con la gaiezza ( “alegria” diciamo noi, con un termine molto più forte, in Spagna), intesa come una combinazione di coraggio, tenerezza e lucidità.
A questo punto, ci potremmo domandare se questo strumento è democraticamente utile, considerando quante persone potrebbero essere introdotte alla magnanimità grazie all’inebriamento e quante a stati d’animo meno desiderabili. Certe persone conducono vite terribili, dalla nascita o successivamente e i loro ristretti orizzonti sembrano troppo precari per l’orgia esperienziale indotta dalle escursioni psichiche. Lo stesso non si può dire per chi è gravemente ammalato o morente, ma osa guardare al futuro e rispetta ancora la vita. Effettivamente il viaggio chimico non è assolutamente consigliabile soltanto a chi persegue la doppiezza morale, alle anime autoritarie e pusillanimi, terrorizzate da qualunque possibilità di rivelare la propria nudità – fisica o meno.
Grosso modo potrei dire che circa il 5 per cento degli esseri umani conduce una vita così spaventosa da dover evitare qualsiasi escursione psichica e che circa il 20 per cento è costituito invece da viaggiatori nati – definiamoli con miglior termine psiconauti – nutriti (o potenzialmente nutriti) dal viaggio neurale. Forse il 10 o 15 per cento – si spera meno – ha cose così grosse da nascondere (a sé o agli altri) che probabilmente griderebbe in preda a frenesia omicida se esse venissero rivelate. Il restante, diciamo circa il 60 o il 70 per cento ha ignorato l’arte della sobria ebrietas poiché, grazie alla propaganda proibizionista, temeva danni fisici m e follia, ma potrebbe nutrire il proprio spirito con sostanze visionarie nel caso tale attività fosse riconosciuta come tale e il loro campo mentale potesse muoversi in condizioni di sicurezza, avendo accesso a informazioni attendibili riguardanti il dosaggio e a campioni di alta qualità di ogni sostanza.
Al pari dei pagani antichi e moderni, considero l’ebbrezza un rimedio contro le contrazioni del nostro ego che ci riporta, ancora e ancora, a una condizione di salute basilarmente “trans personale”. In persone sane, quando l’ebbrezza spazza via le maschere il risultato comune è un’esplosione di risate, seguita da differente introspezioni.
Ho scritto gran parte di queste note qualche tempo fa, una notte in cui io e mia moglie avevamo deciso di battezzare il nostro letto in una nuovo casa affittata da poco, lubrificati da una combinazione di metilenediossimetanfetamina (MDMA) e di 4-bromo,2.5-dimetossifenetilamina (2C-B). Mentre compivamo il nostro sacrificio a Eros, una visione illusoria appena percettibile bloccò la piena espressione della mia spiritualità venerea; con la coda dell’occhio percepivo l’immagine fuggevole di un essere molto inquietante che definii Alien. Tale essere non venne mai vicino abbastanza, cosicché il tributo a Eros venne compiuto con sufficiente devozione, ma non appena fu terminato corsi nel mio studio, attendendomi nuovi incontri con quel visitatore. Attesi però invano, fino a quando il silenzio delle prime luci dell’alba mi fece realizzare che era – di nuovo – una occasione di diagnosi, di auto-analisi, di misurazione del sì implicito nella mia vita. La vita non protegge nessuno, sebbene possa produrre un sentimento di accettazione incondizionata e io avvertii che il sacro sì era ancora lì. Dovendo avere a che fare con una presenza mostruosa, di fronte all’altare di Afrodite, fui costretto a considerarmi un commediante. Non è così semplice interagire con un alieno, un autentico straniero. Raggiungere ciò che ci è estraneo richiede che ci si spinga molto lontano, in regioni dove tutte le prospettive cambiano e nessuna certezza dura troppo a lungo. Ma è proprio là – di fronte all’ignoto – che l’ebbrezza stringe la mano al desiderio di conoscenza.
Permettetemi di concludere con qualcosa di non personale. La proibizione potrebbe essere considerata “il più grande esperimento morale dei nostri tempi”, come dichiarò F.D. Roosvelt nel 1932. Ma bandire le droghe dalla vita umana è, in effetti, una guerra contro l’euforia auto-indotta e anche contro la chimica e la ricerca umana. Tale ‘missione’ è nata negli USA ed è poi stata esportata velocemente in tutto il mondo con lo stesso ritmo col quale quel Paese è diventato la prima superpotenza. L’effetto di questa crociata americana è lo stesso di tutte le crociate e in particolare della crociata contro la stregoneria: portare a livelli mai sentiti prima i presunti effetti nefasti di un male ipotetico, giustificare la persecuzione e la rovina di un numero infinito di persone, promuovere l’arricchimento disonesto di inquisitori corrotti e creare un prospero mercato nero di tutti gli articoli che sono stati proibiti – che nel diciassettesimo secolo erano i decotti delle streghe e oggi sono l’eroina, la cocaina, il crack e via dicendo.
Non riusciremo a rompere il circolo vizioso di questa crociata a meno che gli standard di barbaro oscurantismo verranno rimpiazzati da principi di illuminismo, focalizzati sulla diffusione della conoscenza presso la popolazione. Le droghe sono sempre esistite e continueranno sicuramente ad esserci. Pretendere che i consumatori e i non-consumatori sono più protetti per il fatto che alcune di esse sono ritenute impure, hanno un prezzo altissimo e vengono vendute da criminali (tra l’altro indistinguibili da poliziotti in borghese e comuni uomini d’affari) è semplicemente ridicolo e tanto più dal momento che l’offerta cresce anno dopo anno. L’ovvio risultato di ciò è un crescente fenomeno criminale e un numero sempre maggiore di giovani illetterati, che usano le sostanze illecite in parte come rito di iniziazione all’età adulta e in parte come un alibi per dichiararsi irresponsabili, non liberi, vittime di un demone chimico. Tutto ciò è molto comodo in un momento critico della vita in cui essi dovrebbero piuttosto imparare ad essere responsabili e ad imitare l’abnegazione dimostrata dai genitori nei loro confronti.
Dunque la vera opzione non è vizio opposto a legge e ordine. La scelta vera è tra un consumo irrazionale di prodotti adulterati, e un uso informato di composti puri.
Demonizzare le sostanze ci ha solo resi più indifesi, più crudeli verso i nostri simili e più idioti nel senso più originale del termine – dal momento che in greco classico idiotés indica una persona che ciecamente delega altri alla cura delle cose pubbliche. Non solo il benessere nostro, ma anche quello dei nostri figli e nipoti, dipende dalla diffusione di modelli di sobria ebrietas, che riconsiderino l’uso di sostanze psicoattive una sfida morale ed estetica, fondamentalmente correlata all’avventura della conoscenza e anche come un palliativo per i momenti difficoltosi della nostra esistenza, per l’amarezza della vita. In altri termini, dovremmo ridare dignità a ciò che oggi è stato corrotto, al fine di poterci misurare l’illusione generalizzata e gli abusi creati dall’esperimento proibizionista.
Non scordiamoci le lezioni della Storia, antica e moderna, riguardante la varietà di usi religiosi, terapeutici e ricreativi di molti differenti tipi di sostanze. L’esperimento non è quello di riformare le nostre leggi e il nostro attuale atteggiamento. L’esperimento è la proibizione in sé, una impresa unica negli annali universali. Il fatto è che gli esperimenti costituiscono una interrogazione rivolta alla natura, a comprendere più precisamente la sua struttura e la guerra alle droghe è un esperimento particolare che prima o poi servirà il proposito di base della ragione sperimentale. In altri termini, essa verrà archiviata come una ricca fonte di dati psicologici, sociali ed economici che miglioreranno la percezione del nostro mondo e dei limiti della coercizione. E’ questo il risultato positivo ascrivibile ad ogni fallimento.
http://www.escohotado.com/

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