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Il Comune di Milano e la famiglia Cabassi cercano un accordo per evitare lo sgombero del centro sociale Leoncavallo.
Non è il giorno dello sgombero del Leoncavallo.
E forse quel giorno non arriverà mai. Molto più probabile, per non dire inevitabile, che si tenti ancora una volta la strada dell’accordo tra il Comune di Milano e la famiglia Cabassi per uscire da un’impasse che dura da un paio di decenni e che difficilmente si sbloccherà con lo sfratto forzato di un centro sociale che nell’ex cartiera di via Watteau ha messo radici nel lontano 1994 e che da tempo non genera alcun grattacapo sul fronte dell’ordine pubblico.
Stamattina alle 9 l’ufficiale giudiziario si presenterà alla porta per notificare l’ordinanza di rilascio dell’immobile per la centotrentesima volta in 19 anni: neppure in quest’occasione, stando a quanto risulta al Giorno, ci saranno le forze dell’ordine ad affiancarlo; o quantomeno non ci sarà il dispositivo che di solito viene schierato per liberare un edificio da occupanti abusivi. I collettivi del Leonka hanno comunque lanciato un appello via social "per opporci allo sfratto" e "salvaguardare spazi che danno vita e significato alle nostre comunità": "Non possiamo immaginare Milano senza il Leoncavallo".
Del resto, anche loro sanno che la sentenza della Corte d’Appello del Tribunale civile datata 9 ottobre ha cambiato gli scenari, facendo tornare d’attualità un argomento che era ormai sparito dall’agenda politica. Due mesi fa, il Ministero dell’Interno è stato infatti condannato a pagare 3 milioni di euro alla società "L’Orologio" dei Cabassi per il mancato sgombero di via Watteau. Un contenzioso giudiziario su più livelli che ha vissuto un primo snodo spartiacque nel 2003, quando in primo grado il Tribunale ha condannato l’associazione "Mamme antifasciste del Leoncavallo" al rilascio dello spazio in zona Greco.
Il 5 novembre 2004, la Corte d’Appello conferma la pronuncia, che nel 2010 diventa irrevocabile. L’11 marzo 2005, l’ufficiale giudiziario entra per la prima volta nei capannoni per consegnare l’avviso di sfratto. Ci torna pure un paio di mesi dopo, ma non può mettere in atto l’ordine di rilascio per due motivi: gli occupanti non se ne vogliono andare; e le forze dell’ordine non ci sono, nonostante una lettera inviata dai Cabassi una settimana prima per avere garanzie sulla "fruttuosità dell’esecuzione". I tempi si allungano.
Nel frattempo, Comune e proprietà si confrontano a più riprese per arrivare a una soluzione, ma le ipotesi di regolarizzazione (permuta di un immobile in epoca Pisapia e scambio di volumetrie in epoca Sala) restano sulla carta. A quel punto, i Cabassi fanno causa per la seconda volta, stavolta a Viminale e Presidenza del Consiglio: in primo grado perdono, ma in secondo vincono. La Corte d’Appello – che ha escluso responsabilità di Palazzo Chigi e le ha accollate interamente al Ministero e ai suoi organi territoriali Prefettura e Questura – sentenzia che i Cabassi hanno diritto al risarcimento, richiamando pronunciamenti di Cassazione e Corte europea dei diritti dell’uomo.
A cominciare da quello che ha stabilito che "il rifiuto di assistenza della forza pubblica all’esecuzione dei provvedimenti del giudice, che sia determinato da valutazioni sull’opportunità dell’esecuzione medesima, costituisce un comportamento illecito lesivo del diritto alla prestazione e come tale generatore di responsabilità dalla parte della pubblica amministrazione".
Proprio grazie alla sentenza della Corte d’Appello si è riaperto uno spiraglio per la (ri)convocazione di un tavolo che discuta tempi e modi della regolarizzazione dello storico centro sociale. Negli ultimi giorni ci sono stati contatti in questa direzione tra il Comune e i referenti del Leonka, contatti del tutto informali nei quali, però, è stata ribadita la volontà e la posizione già espressa pubblicamente dal sindaco Giuseppe Sala una volta divenuta nota la sentenza. "Se il prefetto ci chiamasse al tavolo per ricominciare a discutere, noi certamente ci saremo": queste le parole del primo cittadino. Da parte loro, i militanti del Leonka sono disponibili a riprendere il confronto se oggi, come sembra, lo sfratto non dovesse consumarsi.
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