La vittoria di Trump mi insegna che i valori non servono a niente
Con la morte della verità ha vinto le elezioni
Ok, ok, la vittoria è un salvacondotto, la volontà popolare assolve ogni cosa e oggi, se proprio vogliamo tormentarci, facciamo un bel dibattito su quanto "la sinistra" (categoria sufficientemente ampia, ormai, da tenere dentro molte specie di cose diverse) abbia perso contatto con la realtà della gente e sia concentrata sui diritti civili, bellissima cosa ma qui c'è da riempire il carrello della spesa e bla bla.
Ovviamente mi riferisco alla vittoria di Trump, che per le destre di tutto l'orbe terracqueo risplende come un faro e genera un entusiasmo che nemmeno l'avessero fatta loro (ogni riferimento a ministri di vostra conoscenza è da ritenersi puramente casuale).
Bene, e dal momento che se oggi esprimi anche solo scetticismo - non dico dolore, che pure sarebbe appropriato - ti saltano addosso, nemmeno fossi Capitol Hill, voglio cercare di essere, come si dice, "costruttiva". E quindi mi chiedo, mettendo da parte ogni pregiudiziale ideologica (o anche solo logica): cosa m'insegna la vittoria di Trump? Vediamo.
La vittoria di Donald Trump m'insegna che anche gli imputati (4 processi penali) e i condannati (due cause civili, con pesanti pene pecuniarie) per cose abbastanza gravi possono vincere e comandare nazioni. Poi magari vedremo cosa sarà di tutti quei procedimenti, se si dissolveranno come lacrime nella pioggia. Beh, bellissima cosa, perché mai discriminare?
La vittoria di Donald Trump m'insegna che la verità di ciò che si dice non ha questo gran valore, anzi non ne ha affatto: in campagna elettorale gli abbiamo sentito dire praticamente qualsiasi cosa, in una gamma che va dall'esagerazione becera alla minchiata spettacolare. Cito soprattutto un grande cavallo di battaglia: le "elezioni rubate" del 2020, cosa ripetuta in infinite varianti, e malgrado ogni tipo di pronunciamento, controllo e verifica. Una cosa che forse avrebbe ripetuto pure stavolta, se avesse perso, anzi che aveva cominciato a insinuare il giorno stesso del voto, per Philadelphia e Detroit (sarebbe stato divertente, se il suo sfidante fosse stato un altro Trump: invece di riconoscere la sconfitta e fare la famosa telefonata di cortesia oggi, magari, sarebbe col megafono a ululare "brogli!" e aizzare la folla...). E poi, gli immigrati che "portano geni cattivi", e si mangiano pure cani e gatti; i dem che sono per l'aborto oltre il nono mese (e qui siamo fuori pure dalla biologia, ma tant'è); l’inflazione “quasi al 50 per cento” sotto Biden; il "milione di posti di lavoro di nativi americani” dati agli immigrati; i fondi sottratti alla protezione civile - questa dopo le devastazioni dell'uragano Helene - "per darli ai clandestini"; il “cambiamento climatico” che è una bufala (“sentite che freddo?”).
E non considero nemmeno le fanfaronate semplici, tipo: "Ci fossi stato io, Putin non avrebbe invaso l'Ucraina" (che fa il paio con: “Farò cessare tutte le guerre”. E viene in mente, per esempio per la Palestina, Tacito: “Hanno fatto il deserto, e lo chiamano pace”...). Una cosa per cui nel mio dialetto esiste una deliziosa definizione: "bummacaro". La vittoria di Trump m'insegna che il bummacaro piace, e vince. E quindi non solo è legittimato a esserlo, ma ha ragione e fa bene.
La vittoria di Trump m'insegna che ostentare rabbia, deridere, insultare (dell'avversaria ha più che altro detto cose come: "è cattiva, è stupida", "ha un basso QI", "ha problemi mentali") è bello e viene premiato.
La vittoria di Trump m'insegna che lo sberleffo in luogo della dialettica, la smorfia e il balletto in luogo del discorso stesso sono buoni e giusti.
La vittoria di Trump m'insegna che l'intolleranza è un valore e merita rispetto, anzi diventa base della costruzione politica (li sentite, i cori da qui, dai sostenitori del diritto all'odio?)(certo molti di loro, magari, nei prossimi anni avranno belle sorprese, e saranno dazi loro...).
La vittoria di Trump m'insegna che la chiusura verso l'esterno, il muro difeso con la forza sono le risposte a tutto (anche ai problemi che hai causato tu stesso, in quanto élite finanziaria che i tuoi sostenitori pure odiano, con un doppio salto mortale della logica). E che nel tuo fienile non devi lasciare entrare nessuno, perché chiunque altro ha "i geni cattivi".
Certo, ci fosse stato sempre un Trump, da quelle parti, a sigillare le frontiere, oggi il presidente si chiamerebbe Toro Seduto, e i Trump farebbero ancora i barbieri in Renania, ma poco importa. Il Paese così fiero del suo sogno collettivo, forgiato da innumerevoli mani di innumerevoli provenienze (e, ricordiamolo sempre, su territori e con risorse sottratti ai nativi, con schiavi razziati in altri continenti), ha una memoria spaventosamente corta (ma le dimensioni, si sa, non contano).
Insomma, tutte quelle cose nelle quali mi è sempre stato detto che bisogna credere e che si dovrebbero premiare - ovvero coerenza, onestà, correttezza, logica, competenza, preparazione, memoria del passato, compassione, empatia, solidarietà e tanta altra roba desueta - non solo non servono, ma sono persino sbagliate e condannabili.
Quindi anch'io dovrei unirmi al coro: grazie, presidente Trump, delle tantissime cose che ci ha insegnato. Ne faremo tesoro, nello spaventoso mondo che verrà.
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