La democrazia italiana è lunatica come un adolescente implume, come una ballerina di flamenco. Da qui la sua cifra distintiva: gli sbalzi d’umore, l’incoerenza, le scelte capricciose. E un’onda emotiva perennemente inquieta, che sommerge la ragione. I nostri governanti – non tutti, si capisce – non conoscono il passato, non hanno abbastanza fantasia per proiettarsi nel futuro. Sicché girano in tondo, scambiandosi ruoli e competenze come durante una quadriglia, il vecchio ballo popolare. Ma a ballare sono soprattutto le istituzioni dello Stato italiano, quando succede che la legge faccia le veci della sentenza, quando il governo detta legge in luogo delle Camere, quando la magistratura colma i buchi della legislazione. Ogni Stato è un’impalcatura che serve a imbrigliare le passioni. Se l’impalcatura crolla, le decisioni collettive diventano per lo più emotive, contraddittorie, irragionevoli nel loro bilancio complessivo. E il seme della follia s’impadronisce della cittadella pubblica, della stessa vita democratica. Forgiando una nuova forma di governo, o meglio di non governo: demofollia, chiamiamola così.
Michele Ainis
Michele Ainis è fra i più noti costituzionalisti italiani. Scrive su “Repubblica” e su “L’Espresso”. Dal 2016 è membro dell’Antitrust. Fra i suoi ultimi volumi: Privilegium (2012), Le parole della Costituzione (2014), La piccola eguaglianza (2015), L’umor nero (2015). Per la nave di Teseo ha pubblicato il saggio La Costituzione e la Bellezza (con Vittorio Sgarbi, 2016) e il romanzo Risa (2018).
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