mercoledì 4 dicembre 2019

Lee Scratch Perry patrimonio dell'Umanità



Annus mirabilis per Lee Scratch Perry, che a 83 anni si concede il lusso di pubblicare 4 dischi in 12 mesi

Ennio Bruno

A 83 anni Lee Scratch Perry si concede il lusso di pubblicare quattro dischi in dodici mesi: Rainford (ne abbiamo parlato qui), Life of the Plants in compagnia dei Peaking Lights, Rootz Reggae Dub e Heavy Rain, il compagno in versione dub di Rainford, in cui Perry, nuovamente in compagnia di Adrian Sherwood, entra nella echo chamber alla ricerca dell’Undicesimo Comandamento del Dub.

Il sostantivo inglese maverick si traduce con “anticonformista, cane sciolto”, ed è senz’altro applicabile a Lee Scratch Perry, la cui carriera musicale va avanti ormai da 65 anni, tra alti e bassi sia musicali sia personali. Ultimamente la sua vita privata è stata abbastanza tranquilla e la sua produzione musicale ne ha beneficiato. Oltre al già citato Rainford ne è un esempio Life of the Plants, disco organizzato dal duo losangelino Peaking Lights, vale a dire Indra Dunis e Aaron Coyes, alfieri del dub elettronico con incursioni nel pop psichedelico.

Nel disco coinvolgono anche il musicista argentino Ivan Lee, che da anni collabora ai tour di LSP, e il gioco è fatto: tre brani e due versioni dub per un totale di 45 minuti all’interno dei quali Perry libera il suo caratteristico flusso di coscienza che trae origine da chissà dove. Un disco magico che risucchia l’ascoltatore all’interno di un labirinto senza uscita

«Ai miei occhi Lee Scratch Perry si è evoluto da produttore onnipotente a sciamano delle parole, attraverso di esse chiama e invoca energie, lui è il poeta di ciò che risiede all’esterno della nostra comprensione, è il maestro di cerimonie» – Ivan Lee

Meno interessante è Rootz Reggae Dub, inciso due anni fa durante una sosta a Negril al termine di un tour americano; Spacewave al mixer, gli Speak Easy agli strumenti, Larry McDonald alle percussioni, Dames Brown and The Groovematist alle armonie vocali, tutti impegnati a svariare su alcune celebri tracce di Bob Marley e prodotte all’epoca da LSP: ecco allora “Sun Is Shining”, “Stir It Up” e “Punky Reggae Party”, con altre nove basi prese dalla produzione sterminata dell’Upsetter. A tratti piacevole, a tratti noioso, lontano dall’essere indispensabile.

Al contrario con Heavy Rain il gioco si fa duro: dopo un’intro parte la versione di uno dei brani migliori di Rainford, vale a dire “Makumba Rock”, ribattezzata “Here Come the Warm Dreads”, un omaggio al primo disco di Brian Eno, qui impegnato a prendersi cura del canale destro. Il trombone di Vin Gordon – uno che ha suonato negli Skatalites ed è stato il trombonista di Marley in Exodus – è maestoso, il brano originale è stravolto, il risultato è un viaggio allucinato.

“Mindworker” è la perfezione del dub: Sherwood e Perry smanopolano senza pietà nella echo chamber, la voce messianica di Perry entra e esce, “no mercy for the merciless, no pity for the pitiless”, il Giorno del Giudizio è arrivato.

La tensione non cala con le successive “Enlightened”, “Hooligan Hank” e “Crickets in Moonlight”, ma è “Space Craft” a colpire duro, “l’astronave Lee Scratch Perry” ci porta nello spazio 50 anni dopo la conquista della luna, dall’oblò vediamo King Tubby e i rockers uptown.

Ci sono anche due inediti, “Dreams Come True” – “My Favorite Dish? Ackee and Salt Fish” – e “Above and Beyond”, a dimostrazione che Heavy Rain non si limita a essere la semplice versione dub del disco precedente ma è un progetto a sé stante. Verso la chiusura ecco “Heavy Rainford”, con un’armonica quasi C&W, un trombone pensieroso e improvvisamente l’uncino, “I Am the Upsetter”, il marchio di fabbrica di Lee Perry, Scratch, The Upsetter, Pipecock Jackson, patrimonio dell’umanità.


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