I tabaccai sono rimasti aperti per non mettere in crisi i tabagisti. Ma l'epidemia ha dimostrato che serve un nuovo approccio alle sostanze psicotrope meno dannose. L'appello dell'Associazione Luca Coscioni
DI MARCO PERDUCA
«La regolamentazione legale della cannabis può contribuire a dare un futuro all’Italia in questo tragico momento». Con questo appello il 20 aprile scorso sono stati convocati i primi stati generali della cannabis - rigorosamente online - per tornare a proporre all’Italia un’opportunità di giustizia sociale ed economica, oltre che di libertà di scelta.
Qualche settimana fa l’Economist aveva sorriso notando che in Italia e in Spagna, due tra i paesi maggiormente colpiti dal Coronavirus, il lockdown non aveva imposto la chiusura dei tabaccai. È ampiamente dimostrato che fumare tabacco sia un’abitudine nociva alla salute, e per questo scoraggiata da una serie di leggi e regole internazionali che ne sconsigliano il consumo, vietandone la pubblicità e la vendita ai minorenni. In quasi tutti i paesi del mondo i pacchetti di sigarette, tabacco o sigari presentano messaggi intimidatori circa la mortalità causata dal fumare - e indubbiamente fumare non fa bene alla salute, anzi! Malgrado tutto ciò, però, oltre un miliardo di persone nel mondo continuano a fumare e le stime internazionali ritengono che quasi 900 mila persone muoiano annualmente per patologie causate o connesse col fumo.
Ma allora, se è così pericoloso e così sconsigliato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, perché è stato deciso di far restare aperti tabaccai in un momento di grave crisi sanitaria? La risposta è semplice: perché incidere sullo stress creando (anche) l’astinenza dal fumo sarebbe stato un ulteriore appesantimento delle quarantene. Ma le astinenze non si fermano alla nicotina, interessano tante altre sostanze, legali e non, che di questi tempi, se consumate consapevolmente, potrebbero accompagnare il distanziamento sociale.
È notorio che la cannabis non ha mai ucciso nessuno in nessuna parte del mondo, anzi la crescente letteratura scientifica a favore del suo impiego terapeutico ha portato l’Oms a raccomandarne la riclassificazione all’interno del sistema internazionale di controllo delle sostanze psicotrope. Riclassificazione che l’Italia ha già effettuato da quando la produce presso lo Stabilimento farmaceutico militare di Firenze per cercare di soddisfare la domanda di prodotti cannabinoindi prescritti dai medici italiani.
E allora perché nel momento in cui si consente il proseguimento di un’abitudine molto rischiosa come il fumo del tabacco non si sono allentate le proibizioni relative, se non altro, alla produzione domestica di cannabis per accompagnare il lockdown con l’assunzione di principi attivi che possono rilassare in situazioni di stress dovuto alla monotonia quotidiana o alla grande incertezza per il futuro? Si tratterebbe di una misura di “buon senso” da far trapelare - tra l’altro in parte già suggerita recentemente dalla Corte di Cassazione - che un domani, “quando tutto questo sarà finito”, potrebbe evolversi in una misura di buon governo che ci potrebbe condurre alla regolamentazione legale della produzione, consumo e commercio di una pianta dalla straordinaria penetrazione in tutti gli strati sociali e dalle numerose applicazioni terapeutiche.
In attesa che il Parlamento discuta di legalizzazione della cannabis, partendo dalla proposta di legge “Legalizziamo.it” presentata nel 2016 alla Camera, il 20 aprile è partita la mobilitazione #IoColtivo di MeglioLegale.it, DolceVita.it Associazione Luca Coscioni e Radicali Italiani per far crescere una piantina in casa e la speranza riformatrice nel palazzo.
*Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica
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