https://www.repubblica.it/robinson/2020/05/31/news/e_morto_l_artista_christo_aveva_84_anni-258130329/
http://reaggaepsyc.blogspot.com/2016/06/christo-floating-piers.html
http://reaggaepsyc.blogspot.com/2016/06/christo-al-lago-diseo-floating-piers.html
domenica 31 maggio 2020
Reggae Radio Station 31 maggio 2020
https://www.radiopopolare.it/podcast/reggae-radio-station-di-dom-31-05/
https://radiopopolare.it/download.php?file=https://pod.radiopopolare.it/reggaeradiostation_1_31_05_2020.mp3
https://radiopopolare.it/download.php?file=https://pod.radiopopolare.it/reggaeradiostation_1_31_05_2020.mp3
( Mory Kanté ) - Bankiero
( Dubmatix ) - Transmissions
( Etana ) - Bubble
Vitowar mix 4 you -- Paradigm Shift Riddim --
Duane Stephenson - God Nah Sleep
Lutan Fyah - Cried Unto Jah
Fantan Mojah - Show Love
E.N Young - Worthy
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Mellow Mood - Unstoppable (Cali Roots Riddim)
Mash Up The Dancehall feat. Donovan Kingjay & Brother Culture)
Beauty Of Life feat. Tippa Irie
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( Jah 9 ) - Ma'at (Each Man)
( Open Season ) - Not A Rebel
( Gamba The Lenk ) - magnifico
Vybz Kartel, Sikka Rymes - Incredible (Official Audio)
TAVODJ • AFRODANCEHALL KILLAFEST MIX
4 podcast push image
Soul Shakedown Party On Hitz 92 FM Jamaica May 28
https://www.podomatic.com/podcasts/piertosi/episodes/2020-05-31T14_22_51-07_00
https://piertosi.podomatic.com/enclosure/2020-05-31T14_22_51-07_00.mp3
Queen Ifrica – Montego Bay
Keznamdi – State Of Emergency
Mortimer – Careful
Mortimer – Careful Dub
Alborosie/Roots Radics Band – Dub For The Radicals
Lila Ike – Forget Me
Ras Muhamad/Kabaka Pyramid – Re-Education
Robert Ffrench – Calling All Rastaman
Jamelody – Ribbon In The Sky
Chosen Few – Children Of The Night
Millie Small – Honey Hush
Millie Small – My Boy Lollipop
Winston Francis – Mr. Fix It
Tommy McCook – Grass Roots
Dennis Brown – Brotherman Unite
venerdì 29 maggio 2020
Covid, un gruppo di medici al governo: "Revocare i provvedimenti prudenziali, mancano i presupposti di fatto" - Tgcom24
https://www.tgcom24.mediaset.it/cronaca/covid-un-gruppo-di-medici-al-governo-revocare-i-provvedimenti-prudenziali-mancano-i-presupposti-di-fatto_18845601-202002a.shtml
Gli esperti hanno inviato unʼistanza in autotutela in cui chiedono contezza delle delibere alla luce delle evidenze sullʼepidemia che si è rivelata "una forma influenzale non più grave di altri coronavirus"
"Il governo revochi i provvedimenti di contenimento emessi sulla base di uno stato di emergenza di cui oggi non sussistano dei presupposti di fatto che ne giustifichino l'applicazione". E' la richiesta posta da un gruppo di medici che ha inviato un'istanza in autotutela al governo. Nel documento vengono smontati ipunti della narrativa allarmistica sul coronavirus attraverso prove documentali e l'esperienza sul campo, e viene chiesto al governo di giustificare le scelte fatte sulla base delle osservazioni di "esperti" di cui non si conoscono né l'autorevolezza e né l'esperienza (ci potrebbero essere conflitti d'interesse). I medici inoltre criticano la misura che obbliga a usare le mascherine: indossarle per ore fa male, tra i rischi l'ipercapnia e sovrainfezioni da microorganismi.
Persiste un numero di divieti che non trova legittimazione scientificaL'istanza è stata firmata da Pasquale Mario Bacco, Antonietta Gatti, Mariano Amici, Carmela Rescigno, Fabio Milani, Maria Grazia Dondini. Nell'atto i camici bianchi evidenziano come sia paradossale che "tutt’oggi, nonostante un quadro sanitario nettamente positivo, persista un numero impressionante di obblighi e divieti che non trova alcuna legittimazione scientifica e tantomeno giuridica". Dall'altra parte, spiegano, permane "una regolamentazione confusa, contraddittoria e priva di giustificazione per chi ha un quotidiano e diretto riscontro con la situazione dei pazienti".
Basta diramare notizie allarmanti I medici sono convinti che "in primo luogo sia necessario chiarire in modo univoco, chiaro e scientificamente credibile che il Covid-19 ha dimostrato di essere una forma influenzale non più grave degli altri coronavirus stagionali: nonostante l’Oms abbia dichiarato l’emergenza pandemica l’11 marzo, le cifre ufficiali dei deceduti, dei contagiati e dei guariti contraddicono la definizione stessa di 'pandemia' - scrivono -. Occorre dare informazioni corrette e fornire criteri di comprensione dei dati reali, evitando che i media diffondano notizie allarmanti, a nostro parere assolutamente ingiustificate. La banalizzazione statistica dei decessi è la sintesi di una comunicazione istituzionale che ha impedito, per tutta l’emergenza e ancora oggi, di avere una chiara sintesi della situazione, portando a un circolo vizioso in termini di provvedimenti sanitari e di impatto sociale".
La verità sulle vittimeGli esperti si chiedono perché continuare con i "bollettini di guerra" giornalieri senza analizzare affondo i dati, che in questo modo creano solo un allarmismo "infondato sotto il profilo clinico ed epidemiologico". Come dichiara l'Istituto Superiore di Sanità, l'identikit delle vittime continua a essere quello dell'inizio dell'epidemia: l'età media è di 80 anni, in prevalenza sono uomini e con gravi patologie pregresse. Se nei comunicati quotidiani si dessero solamente "i deceduti per Covid, e solo Covid, quale sarebbe lo scostamento dalla medie ufficiali negli anni precedenti per patologie analoghe?", osservano.
I tamponi non sono strumenti affidabiliI medici, inoltre si chiedono, "quali siano i reali motivi per cui in alcune zone del Nord Italia si è registrata una diffusione tanto abnorme e una letalità tanto più alta rispetto ad altre zone del Paese, persino limitrofe". Nell'istanza si parla anche di tamponi, che non sono uno strumento affidabile poiché ci sono stati "falsi positivi" e "falsi negativi" e "di conseguenza, le percentuali ricavate dal numero dei tamponi vanno interpretate e spiegate tanto agli operatori sanitari quanto ai media e alla popolazione, evitando inutili allarmismi". E' stato il professore Ricciardi, consigliere del ministero della Salute, a dire che "oggi in tutto il mondo abbiamo test non perfetti dal punto di vista della sensibilità perché messi a punto in poco tempo e devono essere perfezionati. Quindi c’è un’ampia possibilità di sovrastimare le positività".
Perché non sono stati presi in considerazione i rilievi di medici sul campoE dunque necessario chiarire, sottolineano, "quali sia il motivo per cui si è deciso di non tenere in considerazione gli studi e i rilievi di medici e specialisti impegnati sul campo, privilegiando l’impostazione opinabile degli 'esperti' anche laddove contraddetta da casi documentati; anche il ricorso all’uso dei ventilatori polmonari pare quantomeno controverso", dato che si è trattato nella maggior parte dei casi di tromboembolie polmonari e non di polmoniti.
Perché impedire le autopsie? Un'altra domanda che non trova risposte, argomentano, è "per quale motivo si siano impediti gli esami autoptici, che si sono invece rivelati, quando effettuati, una fonte insostituibile di preziosissime informazioni e che hanno consentito di scoprire che la causa principale dei decessi non era la virulenza della patologia, ma una sua errata cura".
Perché i malati nelle Rsa e perché mantenere ancora le distanze ove non necessario E poi "per quale motivo si siano date disposizioni, su indicazione dell’Oms, di trasferire i pazienti anziani nelle Rsa, con le conseguenze ben note" e "per quale motivo si continui ostinatamente a 'minacciare' futuri, possibili scenari di inasprimento delle misure di contenimento, come se l’epidemiologia dipendesse solo dalla mancata ottemperanza di disposizioni sanitarie la cui efficacia è quantomeno dubbia: nessuna evidenza scientifica permette di affermare che in questo stadio dell’epidemia sia ancora necessario mantenere le distanze di sicurezza, usare mascherine, indossare guanti oltre a curare l’igiene delle mani". Uso della mascherina che viene fortemente criticato per i danni collaterali che ne comporta.
Pronto l'esposto in caso di una mancata risposta Infine, concludono gli esperti, "confidiamo, in spirito di sincera collaborazione, di ricevere una risposta a queste nostre osservazioni, la qual cosa consentirà di porre fine alle pericolose speculazioni di chi, dinanzi a tanto dilettantismo, solleva il dubbio che il Covid-19 venga utilizzato per secondi fini". Nel caso in cui il governo e le altre autorità interpellate non dovessero dare risposta entro i termini prestabiliti dalla legge i medici procederanno con un esposto.
giovedì 28 maggio 2020
Soul Shakedown Party on Hitz 92 FM Jamaica May 21
https://www.podomatic.com/podcasts/piertosi/episodes/2020-05-28T06_29_23-07_00
https://piertosi.podomatic.com/enclosure/2020-05-28T06_29_23-07_00.mp3
Toots & Maytals – Funky Kingston
Toots & Maytals/Ken Boothe/Marcia Griffiths – Reggae Got Soul
Junior Tucker – Let’s Stay Together
Tarrus Riley – Stay With You
Mikey Spice – Born Again
Hezron – Book Of Love
Inner Circle/Damian Marley – Smoke Gets In My Eyes
Everton Blender – Long Hair Harry
Kumar Bent – Message In Your Radio
Gregory Morris & The 18th Parallel – Dub In Your Stereo
Raymond Wright – Crosses
Dennis Brown/Anthony Cruz – Rub A Dub Al The Time
Luciano – Raggamuffin
Luciano – His Imperial Majesty
martedì 26 maggio 2020
Soul Shakedown Party 26 maggio 2020 - Bobby Digital Tribute
https://www.podomatic.com/podcasts/piertosi/episodes/2020-05-27T11_39_54-07_00
https://piertosi.podomatic.com/enclosure/2020-05-27T11_39_54-07_00.mp3
BOBBY 'DIGITAL' DIXON (1961-2020): Tutta la puntata di stasera dedicata alla memoria di questo geniale produttore ed alla musica da luirealizzata per le mitiche etichette Digital B e Brickwall.
lunedì 25 maggio 2020
R&D Vibes 23 maggio 2020 - SOTTO IL SEGNO DI GEMINI
https://www.podomatic.com/podcasts/redvibes/episodes/2020-05-25T00_11_30-07_00
https://redvibes.podomatic.com/enclosure/2020-05-25T00_11_30-07_00.mp3
Linea di Massa LDM Sound System - Reasoning (unreleased)
Mafia & Fluxy feat. Patrixxx Aba Ariginal - Horns Of Jah Children (Gaffa Blue label)
Mafia & Fluxy feat. Patrixxx Aba Ariginal - None Of Dub
Max Edwards - Gideons (High Dub Store Records)
Gideon All Stars - Ixes
George Faith - To Be A Lover (Have Some Mercy) (Island Jamaica)
Tom Spirals & The 4'20' Sound - If We Got Here Easy
Spirit Revolution meets Sugardaddy - Surviver (One Drop)
Spirit Revolution meets Sugardaddy - Why Oh Why
Papa Michigan - Quarantine Lockdown (Rub A Dub Mrkt)
Ras Mat I - If I Could Save The World (Redgoldgreen)
Brother Culture & Jimmy Splif Sound - What we do about (Redgoldgreen & Evidence music)
AMJ Collective - Earth Is Calling (Astar Artes Record)
AMJ Collective - Rising Tide Dub
Manasseh meets Praise feat. Nathan 'Flutebox' Lee - Nathan the Prophet (Roots Garden)
Dub Hunters feat. Dan I Locks - Panama Papers (Dub-O-Matic Records)
Dub Hunters - Melodica Version
Alpha Steppa feat. Pupa Jim - Dear Friend (Steppas Records)
Alpha Steppa feat. Pupa Jim - Dear Dub
Lion Warriah - Soundboy (Bassliner 4Weed records)
domenica 24 maggio 2020
sabato 23 maggio 2020
È morto Mory Kanté
https://www.repubblica.it/spettacoli/musica/2020/05/22/news/morto_mory_kante_-257375274/
Il musicista guineiano aveva 70 anni. Lo chiamavano "il griot elettrico": con la sua hit "Yeke Yeke" negli anni Ottanta fu tra i primi artisti internazionali della nascente world music. Il cordoglio di Youssou N'Dour: "Addio fratello"
di CARLO MORETTI
E' morto a 70 anni, dopo lunga malattia Mory Kanté, cantante e musicista originario della Guinea, conosciuto in tutto il mondo soprattutto per la hit Yeke Yeke lanciata nel 1987. E proprio a quel brano, che portava elementi etnici nel mezzo dell'accelerazione elettronica tipica della musica negli anni Ottanta, viene fatto riferimento quando si parla della nascita della world music. Non a caso per tutti Kantè era "il griot elettrico".
Kanté aveva iniziato come griot, suonando la kora (la tipica arpa dei paesi dell'Africa occidentale) che aveva appreso ancora bambino quando i suoi genitori lo avevano inviato a studiare lo strumento in Mali. Tutta la sua famiglia si dedicava a quest'arte musicale da cantastorie, che nella cultura africana travalica i confini della musica per diventare racconto storico della propria famiglia e della propria etnia di appartenenza, quindi memoria collettiva.
Nato nel 1951 a Kissidougou, in Guinea, a 15 anni Kanté si trasferì a Bamako e nella capitale maliana si unì al gruppo all'epoca più famoso del paese, la Rail Band. Per sette anni restò con loro fino a quando la rivalità con il maestro orchestratore della band, Salif Keita, lo costrinse ad abbandonarli per unirsi prima ai Les Ambassadeurs e poi, arrivato in Costa d'Avorio, per guidare un'orchestra di 35 elementi chiamata Les Milieus Branches.
Con loro, siamo ormai alla fine degli anni Settanta, Kanté comincia a innestare nella musica tradizionale elementi anglosassoni, soprattutto soul, anche grazie all'incontro con Abdoulaye Soumare, un produttore che aveva collaborato a lungo con Stevie Wonder. Fu grazie al successo dell'album Courougnegnepubblicato nel 1981 che Kanté cominciò ad essere considerato il padre fondatore della moderna musica Mandinga, quello speciale mix tra musica etnica e musica occidentale ed elettronica che si sarebbe affermata prima in Africa e poi in Europa portandolo nel 1982 in Francia.
E' a Parigi che Kanté registra l'album A Paris contenente una prima versione molto più acustica di Yeke Yeke. E' l'album che, con appena sei brani, lo conferma come uno degli artisti di punta della nuova scena africana. E' però nel 1987, nella versione molto più ritmata e con sonorità quasi house, cheYeke Yeke si impone come un successo a livello internazionale. Kanté diventa così famoso in tutto il mondo: il singolo vende oltre un milione di copie, l'album che lo contiene, Akwaba Beach, supera il mezzo milione di copie.
Con l'album Touma pubblicato nel 1990 Kanté conferma il suo stile di griot elettrico, spingendo ancora di più sulle componenti elettroniche sostenute da grandi fiati e dalla sua voce sempre esplosiva; sulla stessa linea si posizionano i lavori lungo il decennio Nongo Village, Un Amour de Prix eTatebola. Bisognerà attendere l'inizio degli anni Duemila per un ritorno ai suoni acustici ed etnici con Sabou pubblicato nel 2004 e con con Tamala nel 2009. Nel 2012 con La Guinéenne il griot elettrico tornava al balafon e al flauto fulani per rendere omaggio alle donne africane che riteneva ancora troppo svantaggiate nonostante i passi avanti compiuti.
Il figlio di Mory Kanté, Balla, ha spiegato alla France Presse che il padre soffriva di una malattia cronica che in passato aveva potuto curare a Parigi, grazie a frequenti viaggi in Francia. Il coronavirus ha però reso impossibili gli spostamenti all'estero e le condizioni di Kante sono velocemente peggiorate. E' morto venerdì in Guinea, in un ospedale della capitale Conakry.
Molti gli artisti che hanno voluto rendergli omaggio, a cominciare dal senegalese Youssou N'Dour. Che su Twitter scrive: "Apprendo con dolore del ritorno a Dio del mio fratello maggiore e punto di riferimento, il Maestro Mory Kanté. Oggi sento un grande vuoto per la scomparsa di questo baobab della cultura africana. Riposa in pace. Dal tuo fratello addolorato, Youssou N'Dour".
Condoglianze espresse anche dal Presidente della Guinea, Alpha Condé, che su Twitter pubblica la foto di un recente incontro e scrive: "La cultura africana è in lutto. Le mie più sentite condoglianze... Ringrazio l'artista. Un percorso eccezionale. Esemplare. Un orgoglio".
venerdì 22 maggio 2020
giovedì 21 maggio 2020
矛盾 (máo dùn). In quali trappole cadiamo nel discutere di «emergenza coronavirus»
https://www.wumingfoundation.com/giap/2020/05/mao-dun/#more-43936
di Wu Ming
Ormai più di due mesi fa, nella terza puntata del nostro Diario virale, cercammo di chiarire cosa intendessimo per «emergenza». Parlammo di «un equivoco di fondo, un malinteso concettuale che ci vedeva reciprocamente lost in translation», e spiegammo:
«C’era chi per “emergenza” intendeva il pericolo da cui l’emergenza prendeva le mosse, cioè l’epidemia.
Invece, noi e pochi altri – in nettissima minoranza ma in continuità con un dibattito almeno quarantennale – chiamavamo “emergenza” quel che veniva costruito sul pericolo: il clima che si instaurava, la legislazione speciale, le deroghe a diritti altrimenti ritenuti intoccabili, la riconfigurazione dei poteri…
Chi, ogni volta che si parlava di tutto ciò, voleva subito tornare a parlare sempre e solo del virus in sé, della sua eziologia, della sua letalità, delle sue differenze con l’influenza ecc., a nostro parere sottovalutava la situazione.»
Ogni emergenza is here to stay
Quella dell’«emergenza» – volta per volta l’emergenza-terrorismo, l’emergenza-conti pubblici e tutte le cornici emergenziali che abbiamo conosciuto – non è mai una narrazione qualsiasi. È una Grande Narrazione a lunga gittata, che una volta imposta nell’immaginario ha una spinta inerziale fortissima, e non può essere fermata a piacimento.
Quando l’«emergenza» comincia ad avere effetti disfunzionali, si lavora per attenuarne la presa, smussando gli spigoli, si rallenta e si lascia sedimentare, ma ci vuole tempo. E in ogni caso gli effetti saranno permanenti: tutte le emergenze che abbiamo conosciuto si sono accumulate, potremmo quasi farne una “stratigrafia”.
Quasi vent’anni dopo, noi stiamo ancora vivendo – anche se non più in fase acuta – dentro l’emergenza post-11 settembre. Ce ne accorgiamo, ad esempio, ogni volta che ci controllano i bagagli all’aeroporto. Le attuali procedure, la cui logica non è molto chiara e sembra più “teatrale” che altro, furono introdotte allora.
Stiamo ancora vivendo le emergenze-conti pubblici di inizio anni ’90 e del 2011, perché i tagli, le controriforme e l’austerity che grazie a quelle emergenze si imposero ci hanno condotti sin qui, alla situazione attuale.
È ancora con noi buona parte della legislazione speciale anti-terrorismo di fine anni ’70 – inizio ’80.
Sulle continuità retoriche e “prossemiche” tra la capillare «emergenza degrado» degli anni Dieci e l’emergenza coronavirus della primavera 2020 ha scritto per noi Wolf Bukowski.
Nessuna emergenza è alle nostre spalle, tutte quante sono sulle nostre spalle.
Il capitalismo ha colto la palla al balzo
Figurarsi, dunque, se si potrà uscire con facilità dalla narrazione emergenziale imposta per affrontare questa pandemia. Stiamo parlando dell’emergenza più impattante e pervasiva a nostra memoria, e a livello planetario. Molto di ciò che si è sperimentato in questi tre mesi – pensiamo solo alla DAD – è qui per restare, seppure in forme meno vistose (ma proprio per questo più pervasive). Pensiamo anche alle deroghe sul diritto del lavoro, o alle deroghe ambientali, che verranno chieste e ottenute grazie all’emergenza, in nome della «ripresa».
Tutto questo nella difficoltà di mettere in campo un’opposizione concreta, perché permarranno a lungo condizioni di «distanziamento sociale» che, se non rendono impossibili le lotte, comunque danno ancor più pretesti e strumenti di quanti ce ne fossero prima per reprimerle. Sempre Wolf Bukowski ha scritto un fondamentale articolo su come potrebbe incancrenirsi nel nostro quotidiano l’idea del «distanziamento sociale».
Poter dare alla pandemia la colpa di una crisi e di una recessione che stavano comunque arrivando è molto comodo per il capitale: per i suoi settori che da questa fase stanno traendo o cercano di trarre vantaggio, e per quelli che vogliono recuperare il terreno perso.
Grazie al virus Sars-Cov-2, il capitale ha avuto l’occasione di accelerare certe dinamiche per poterle gestire meglio. Stante l’inevitabilità di una recessione, di gran lunga meglio gestirla potendo scaricare le colpe su un evento presentato come “naturale”, sulla sfiga, su un disastro, su condizioni “esterne” al sistema (noi sappiamo che non è così, che la colpa della pandemia è del sistema, ma ogni volta dobbiamo spiegarlo).
Tutto questo, lo ribadiamo sempre, non è l’esito di un Piano, di un complotto del capitale. Il capitale risponde a quel che accade, com’è ovvio, in modo capitalistico. Il potere politico gestisce quel che succede nel quadro delle compatibilità capitalistiche. Una singola emergenza non è mai pianificata con grande anticipo: consiste nel prendere la palla al balzo.
Non si può parlare di «fase 2», «fase 3» e quant’altro soltanto guardando al pericolo in senso stretto, cioè solo in termini virologici ed epidemiologici. Bisogna parlare di cosa ci lascerà quest’emergenza, e di come agire, come riconquistare spazi di dissenso e conflitto in quella realtà multi-strato.
Intermezzo: «Lancia/scudo»
Tutta questa storia è cominciata in Cina, giusto?
In cinese, il termine «contraddizione» è reso coi due ideogrammi 矛盾, rispettivamente «lancia» e «scudo». Se si guardano attentamente i due caratteri, si riconoscerà la stilizzazione dei due oggetti.
Si tramanda che l’accostamento, e il relativo concetto, derivino da una storia risalente al III secolo d.C. (dinastia Jìn).
Un istrionico mercante girava per villaggi nello stato di Chu e, tra i vari articoli, vendeva anche lance e scudi. In una piazza, un tizio gli chiese come fossero le sue lance, e lui, sboroneggiando, disse che erano le migliori al mondo e che potevano perforare qualunque scudo.
Poco dopo, un altro tizio gli chiese come fossero i suoi scudi, e lui, sempre sopra le righe, disse che erano i migliori al mondo, e che nessuna lancia avrebbe potuto perforarli.
Al che un terzo astante, che aveva udito entrambe le réclames, gli chiese: «Ma quindi cosa succederebbe se una delle tue lance colpisse uno dei tuoi scudi?»
Incapace di rispondere, il mercante lasciò il villaggio.
Poco dopo, un altro tizio gli chiese come fossero i suoi scudi, e lui, sempre sopra le righe, disse che erano i migliori al mondo, e che nessuna lancia avrebbe potuto perforarli.
Al che un terzo astante, che aveva udito entrambe le réclames, gli chiese: «Ma quindi cosa succederebbe se una delle tue lance colpisse uno dei tuoi scudi?»
Incapace di rispondere, il mercante lasciò il villaggio.
«O sottovaluti il virus o sottovaluti l’emergenza»
C’è una contraddizione di fondo in tutte le discussioni sull’emergenza coronavirus, una contraddizione che si presenta in forma di falso dilemma ed è conseguenza dell’esser incorsi – tutte e tutti noi, chi più chi meno – in dicotomie fallaci, dell’essere caduti in trappole retoriche come quella in cui si cacciò l’antico mercante cinese. Questa contraddizione va tematizzata e superata, per adottare quello che in un altro post abbiamo chiamato «approccio olistico» – o sintetico, se si preferisce una terminologia più dialettica, nel senso del trovare una sintesi che superi in avanti gli opposti.
Negante ha trovato un modo bello ed efficace di rappresentare questa contraddizione. Lo ha fatto in un commento al post precedente, di cui riportiamo un estratto:
«All’inizio lo esprimevo quasi come una battuta, ma poi mi è apparso serio: si tratta di una sorta di principio di indeterminazione in senso heisenberghiano, fra il virus e l’emergenza. Non puoi guardare e tenere fermo lo sguardo su entrambi, ma o sottovaluti uno o l’altro. Sottovaluti agli occhi dell’altro. Cioè: per colui che vede bene il virus (o crede di vederlo bene) l’emergenza è solo una contingenza che passerà se passerà il virus; per colui che vede bene l’emergenza (o crede di vederla bene) il virus, per quanto serio e pericoloso, sarà sempre meno letale delle conseguenze che le politiche emergenziali stanno provocando. Ogni discussione ha questa instabilità al suo interno e farla venire a galla non può che essere un bene.»
Questo è anche un ottimo caveat con il quale vagliare le proprie reazioni di fronte a una qualsiasi affermazione sul virus e/o sull’emergenza. Quanti cartellini sulla pericolosità del virus pretendiamo che timbri chi vuol parlare dei pericoli dell’emergenza? E quanti cartellini sull’insensatezza dell’emergenza vogliamo che timbri chi desidera discutere della sensatezza del virus?
E vale per esempi più specifici: se penso che debbano riaprire le librerie, quante volte devo specificare che ero per chiudere le fabbriche? E se ero per chiudere le fabbriche, quante volte devo spiegare che questo non implicava chiudere tutti in casa?
In giro c’è troppo pensiero binario, troppo manicheismo, troppo facile e tranciante tertium non datur. Invece non solo esistono tertia: esiste il molteplice, con la sua complessità. Negarlo ci porta dritti nella braccia del “doppio legame”, quello su cui si è imperniata gran parte della gestione dell’emergenza e la cui logica è stata presa per buona da chi si concentrava solo sul virus.
Doppio legame: «Che vorresti fare? Vuoi uscire di casa?» Se rispondi di sì, allora vuol dire che ti va bene anche riaprire le fabbriche (e ti faccio ammalare sul posto di lavoro). Se rispondi no, allora ti tolgo libertà di movimento (e ti faccio ammalare di depressione e varie patologie). Come fai, sbagli.
Da qui in avanti
Non ci libereremo né delle pandemie né delle emergenze, entrambe continueranno a colpirci. Solo ragionando in questi termini si potranno superare in avanti le incomprensioni e gli scazzi di questi mesi. Almeno, quelli portati avanti in buonafede. Per gli altri, c’è poco da fare.
L’emergenza ci lascia in eredità anche le macerie di relazioni personali e politiche. Del resto, è accaduto durante e dopo tutte le precedenti emergenze. Le emergenze, imponendo nuove dicotomie, scombinano gli schieramenti, le allenze, le amicizie.Questa emergenza lo ha fatto con una potenza di fuoco immane e con impeto quasi irresistibile. Purtroppo, non ritroveremo tutte le collaborazioni né tutti gli affetti di prima.
Dovremo farcene una ragione.
martedì 19 maggio 2020
Soul Shakedown Party 19 maggio 2020
https://www.podomatic.com/podcasts/piertosi/episodes/2020-05-19T15_28_08-07_00
https://piertosi.podomatic.com/enclosure/2020-05-19T15_28_08-07_00.mp3
Intervista con James Harper di Reggae Roast per presentare il primo album 'Turn on the heat'
Roots tune di Bushman prodotta da Don Corleon
Nuovo ritmo prodotto da Frenchie chiamato Jamaica Rock: Busy Signal e Christopher Martin
Ottima roots combination Earth Beat Movement/Chisco
Il nuovo reggae singer francese David Cairol
Il veterano U Roy ancora attivo per la Ariwa di Mad Professor
Reggae venato di pop nel nuovo lavoro dell'ex-Raging Fyah Kumar Bent
Horace Andy ripropone in acustico un suo classico Studio One
Cover di un classico di Freddie McKay per Geoffrey Star
Singolo--bomba per Willie Williams prodotto da Roberto Sanchez
Bellissima collaborazione tra Nick Manasseh ed il violinista Praise
Combination con Pressure Busspipe dal nuovo lavoro di Jah9
Suoni moderni dal nuovo EP di Lila Ike
Tribute to Naggo Morris (1947-2020)
La 'dream selection' dedicata ai suoni Black Ark di Lee Perry: Lacksley Castell, Devon Irons, Clive Hylton, Heptones, Black Ark Players...
lunedì 18 maggio 2020
"Tre mosse per scongiurare la società parassita di massa". Intervista a Luca Ricolfi | L'HuffPost
https://www.huffingtonpost.it/entry/tre-mosse-per-scongiurare-la-societa-parassita-di-massa-intervista-a-luca-ricolfi_it_5ec1a4c7c5b620d1445193d8
Il professore è categorico: deve cambiare tutto. "Snellire la burocrazia, un taglio drastico, immediato e triennale delle tasse, saldare entro 30 giorni i debiti della Pa. Facciamo come l'Irlanda"
Professor Ricolfi, la critica più diffusa al decreto Rilancio appena varato dal governo riguarda la natura essenzialmente assistenzialistica delle misure. Dei 55 miliardi messi in campo, c’è poco o nulla per far ripartire l’economia. L’ex ministro del Tesoro Giovanni Tria addirittura ha parlato di “investimenti zero”. Ma se l’economia non riparte, nei prossimi mesi l’Italia rischia davvero di essere il “malato d’Europa”. I mercati continueranno a risparmiarci o dobbiamo iniziare a temere?
Andando avanti sulla strada intrapresa, più che di “malato” d’Europa temo che dovremo parlare di “moribondo” d’Europa. Finché la caduta del Pil è “solo” del 10% e dall’anno dopo c’è una ripresa, sei solo malato. Ma se il Pil cade del 15-20% nel 2020, se nell’anno successivo non rimbalza perché la base produttiva si è ristretta, se la quota dell’export cala perché in questi mesi hai perso milioni di clienti, se il rapporto debito-Pil viaggia verso il 200% perché il denominatore è imploso, se lo spread vola perché i mercati pensano che non saremo in grado di restituire il debito, beh se tutto questo dovesse accadere allora questo non è essere malati, mi sembra.
Questo vorrebbe dire tornare indietro di mezzo secolo, prendere commiato da tutto quello che eravamo bene o male riusciti a costruire dopo la seconda guerra mondiale. Individualmente sopravviveremo quasi tutti, si spera, ma assisteremo alla progressiva demolizione del nostro mondo sociale: la società signorile di massa si inabisserà, come l’isola di Atlantide.
C’è il rischio che Germania, Olanda e falchi del Nord tornino a chiedere austerity?
Chiamarlo “rischio” è da inguaribili ottimisti, io parlerei di certezza. Il patto di stabilità è solo sospeso, e possiamo star sicuri che nel 2021 l’Europa non ci consentirà di indebitarci con l’allegria che ora contagia il ceto di governo. E anche ce lo consentisse, nulla potrà evitare che a metterci in riga ci pensino i mercati. Già oggi lo spread è 100 punti sopra il livello pre-Covid.
Da queste pagine ha lanciato l’allarme: l’Italia post-Covid rischia di diventare una società parassita di massa, popolata da tanti non-produttori che vivranno in condizioni di dipendenza dall’assistenzialismo statale. Cerchiamo di fare un passo avanti. Come evitare di arrivare a uno scenario così terribile?
Prima di rispondere, vorrei fare una precisazione. Quando dico che i nostri governanti stanno più o meno intenzionalmente pianificando il passaggio a una società parassita di massa non ho in mente uno scenario in cui il 70% degli italiani se la spassa vivendo alle spalle del 30% che produce. Quel che ho in mente è semmai una situazione in cui la torta del Pil è così ristretta da trasformare i parassiti-signori di ieri nei parassiti-sudditi di domani. Detto brutalmente: gli assistiti non se la passeranno per niente bene. Non a caso ho evocato, giusto per dare un’idea, la Grecia e Cuba: sudditi come a Cuba, poveri come in Grecia.
Detto questo, torno alla domanda, come evitare di arrivare lì. Non so se siamo ancora in tempo, ma io vedo una sola possibilità: cambiare tutto, naturalmente cominciando dalla testa, governo e filosofia di governo.
Che significa cambiare tutto?
Dovessi riassumere con una formula, direi: provare a trasformare l’Italia da inferno burocratico a paradiso imprenditoriale. Una sorta di Irlanda mediterranea, dove chiunque voglia intraprendere un’attività economica può farlo senza ostacoli non necessari.
In concreto vuol dire essenzialmente tre cose.
La prima: renderci un paese normale quanto a burocrazia, eliminando la “presunzione di furbizia” che è ubiqua nella nostra legislazione, dal codice degli appalti alle infinite norme e procedure che asfissiano i produttori.
La seconda: un taglio drastico, immediato, e almeno triennale delle tasse.
La terza: saldare entro 30 giorni tutti i debiti delle pubbliche amministrazioni verso il settore privato, senza andirivieni bancari e fra enti pubblici. E’ incredibile che lo Stato faccia moral suasion sulle banche perché aiutino i produttori a indebitarsi, e non pensi che molte imprese devono indebitarsi precisamente perché lo Stato non paga i suoi debiti.
Entriamo più nello specifico sul taglio delle tasse. Meglio fare un’operazione di riduzione su imprese e autonomi o sul lavoro dipendente?
In tema di riduzioni fiscali la tendenza del ceto politico, di destra e di sinistra, è sempre stata (fin dal “Contratto con gli italiani” di Berlusconi) di puntare su riduzioni, anche molto modeste, che potessero toccare il maggior numero di beneficiari: Irpef, Iva, Imu, contributi sociali. Molta meno attenzione è stata riservata alle tasse che scoraggiano l’attività produttiva, ovvero Irap e Ires. E invece è da lì che si dovrebbe partire, anche puntando su benefici selettivi e concentrati, che privilegino le imprese che aumentano l’occupazione e, in questo momento, le imprese che rinunciano alla comoda strada di mettere in cassa integrazione i loro dipendenti.
Dico questo perché me lo suggeriscono i miei studi sulle determinanti della crescita in Occidente (è il tema del mio libro L’enigma della crescita), ma lo dico anche perché sono in contatto con tante persone che hanno un’attività, dal commerciante, al gestore di pizzeria, alla fisioterapista, fino al viticoltore. E da loro so che la decisione che devono prendere è drammatica: chiudere, o riaprire e scommettere sul futuro.
E che cosa le dicono?
Quasi tutti, specie se sono over 50 e sono in grado di sopravvivere decentemente senza lavorare, si chiedono: ma in queste condizioni, con nuovi costi, nuovi rischi (anche penali), e a voracità fiscale invariata, chi me lo fa fare?
La decisione di riaprire dipende poco dagli aiuti momentanei e limitati che possono ricevere in questo momento, e molto – moltissimo – dalle condizioni in cui dovranno operare nei prossimi mesi e anni. Queste condizioni includono aumenti certi dei costi, una fiscalità futura di entità sconosciuta, un rischio serio di guai giudiziari legati al rispetto del “Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro”.
Lei lo ha letto il protocollo?
Dalla prima riga all’ultima, e ne sono rimasto sconcertato, per la farraginosità (e spesso inapplicabilità) delle norme che detta. Soprattutto sono rimasto sorpreso nel constatare che il protocollo è chiaramente pensato per la grande impresa, ma non è sottoscritto solo dai sindacati confederali e da Confindustria, bensì anche da una dozzina di associazioni professionali e datoriali più piccole, che paiono del tutto ignare dei problemi concreti dei loro associati. Come sociologo, sono colpito dal fatto che, anche nel mondo della produzione, si sia ormai verificato ciò che da tempo accade in posti come l’Università, o la sanità pubblica. Le regole dell’Università non le pensano gli studiosi, ma i manager-burocrati che la governano. Le regole della sanità non le fanno medici e infermieri, ma le fa l’immenso apparato amministrativo che se ne è impossessato.
Credo che nessun artigiano, commerciante o piccolo imprenditore in carne e ossa avrebbe firmato un protocollo come quello concordato dai vertici delle loro associazioni.
Ma torniamo alla riduzione delle tasse. Un’operazione di grossa riduzione fiscale è certamente auspicabile ma rischia di scontrarsi con la realtà dei conti pubblici. Se mettiamo assieme i soldi stanziati dal decreto Cura Italia e da quello Rilancio, vediamo che sono stati già spesi 80 miliardi solo per misure di sostegno sociale. E questo porterà il debito/pil a un rapporto che sfiora il 160%. Non le sembra che le cartucce ce le siamo già sparate tutte?
Su questo ha ragioni da vendere l’ex ministro Tria, che per primo ha sollevato questa preoccupazione, ovvero che largheggiando ora il governo si trovi a stecchetto quest’autunno, quando dovrà varare la finanziaria. Ma il punto cruciale a me sembra più a monte, e riguarda come gestire l’aumento del debito pubblico, che ci sarà comunque, sia che si segua la via iper-assistenziale che piace a questo governo, sia che si imbocchi la via di un taglio immediato e consistente del carico fiscale sui produttori. Quell’aumento del debito risveglierà le autorità europee, e soprattutto risveglierà i mercati. Lo spread tenderà a salire, e noi dovremo trovare un modo di convincere i mercati e le istituzioni sovranazionali a comprare e ricomprare il nostro debito. Ebbene, a quel punto avremo solo due vie.
La prima: anni e anni di austerità vera (non la pseudo-austerità di questi anni, che è esistita solo nella propaganda anti-europea), in una spirale di contrazione della base produttiva → contrazione della base imponibile → tagli alla spesa pubblica → aumenti delle aliquote imposte patrimoniali di scopo.
La seconda: crescere a un ritmo tale (almeno il 3% all’anno per diversi anni) da rassicurare i mercati sulla sostenibilità del nostro debito. Dico questo anche perché, come fondazione Hume, da anni ci occupiamo delle determinanti dello spread, e una cosa gliela posso dire senza esitazione: nell’equazione dello spread il deficit annuale non entra, mentre hanno un ruolo importante (di contenimento) le prospettive di crescita di un paese. Se cresci, questa mera circostanza calmiera lo spread. Ma bisogna convincersi che crescere molto di più di oggi è la nostra unica possibilità, se non vogliamo beccarci dieci anni di austerità. Chi obietta che non ci sono le “risorse” per alleggerire la pressione fiscale sui produttori dovrebbe rispondere a questa domanda: quanto ci costa, in termini di erosione della base imponibile (e quindi del gettito), il fallimento di migliaia e migliaia di imprese che, con questa pressione fiscale, non riescono a restare sul mercato?
Dunque lei è contrario all’austerità?
Io sono sempre stato a favore di quella che Veronica De Romanis chiama l’austerità buona: mettere a posto i conti pubblici riducendo la spesa corrente e abbassando le tasse sui produttori. Poteva funzionare, e lo avessimo fatto a tempo debito – anziché invocare flessibilità ad ogni pie’ sospinto – ora saremmo messi meno male di come siamo. Ma adesso la situazione è completamente cambiata, ed è paradossale.
Noi rischiamo di essere commissariati dall’Europa, o dal Fondo Monetario, o da qualche altro organismo sovra-nazionale, perché fra pochi mesi apparirà a tutti che lo Stato si sta indebitando troppo, il Pil non dà segni di ripresa, e la base imponibile si assottiglia, aggravando il bilancio pubblico. Ci chiederanno di agire sul numeratore, ovvero sul debito, perché “è nella loro natura”, come recita la fiaba dello scorpione e della rana: la tecnoburocrazia che governa il mondo ha una visione ragionieristica dei conti pubblici. A quel punto il paradosso prenderà forma: l’Italia perderà la sua sovranità perché nel momento più difficile il caso ha voluto che il governo fosse in mano ai sovranisti, o meglio alla variante più anti-crescita del sovranismo, quella dell’assistenzialismo pentastellato.
Ma possiamo evitare tutto ciò?
Probabilmente no, a questo punto, troppo grande è il danno che si è già fatto. Ma se uno spiraglio è dato intravedere, è quello di ribaltare tutto: indebitiamoci, ma facciamolo in modo da salvare le attività che possono farcela, e di rendere profittevole crearne di nuove. Affinché la schumpeteriana “distruzione creatrice”, che ci sarà comunque, sia più creatrice di nuove attività e meno distruttrice di vecchie.
Lei parla anche di semplificazioni e sburocratizzazione. Negli ultimi anni i governi che si sono succeduti mi sembra siano andati nel verso opposto: più controlli e documenti per evitare corruzione e infiltrazioni criminali. Il Covid farà cambiare idea a una maggioranza il cui partito più grande - M5s - ha nel Dna una carica ultra-legalitaria?
Qui mi sento di attenuare le responsabilità dei Cinque Stelle. Avere i Cinque Stelle al governo si limita a peggiorare la situazione, perché stimola la iper-produzione di norme dannose per l’economia, ma non è il vero problema. Anche ci fosse Einaudi al governo, non ce la farebbe, in pochi mesi, a smontare il cancro burocratico che sta uccidendo l’Italia. Il vero problema è che chiunque provi a semplificare la burocrazia, tende a farlo creando nuove norme, anziché disboscando l’esistente.
Da questo punto di vista il fatto che Conte annunci un “decreto semplificazioni” semplicemente mi terrorizza. Lo smantellamento del mostro burocratico e la riforma della giustizia civile richiederebbero almeno 4 o 5 anni di lavoro anche al più serio e ben intenzionato dei governi. Nel breve periodo, l’unica strada percorribile a me pare quella di prevedere, ovunque sia possibile e ragionevole, norme transitorie che scavalchino e sospendano tutte le altre, come si è fatto con il ponte di Genova, e come si potrebbe fare in molti altri casi.
Non hanno esitato a toglierci le nostre libertà più preziose, possibile che l’unica cosa intoccabile sia la giungla degli adempimenti e delle procedure che stanno strangolando l’Italia?
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