venerdì 17 maggio 2019

Federico Faggin, la scienza della consapevolezza

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È tra i padri del microprocessore e del touch pad. Oggi, con la Fondazione Federico ed Elvia Faggin, indaga la natura della coscienza cercando di estendere il metodo scientifico per esplorare la mente.
Federico Faggin, fisico, inventore e imprenditore, è nato a Vicenza il 1° dicembre 1941, si laurea in fisica summa cum laude nel 1965 all’Università di Padova e dal 1968 risiede in California. Quell’anno, alla Fairchild sviluppa la tecnologia MOS con porta di silicio, che consente la fabbricazione dei primi microprocessori e delle memorie EPROM e DRAM, cuore della digitalizzazione dell’informazione. Diventa poi capo-progetto e designer dei primi microprocessori Intel (4004, 8008, 4040 e 8080). Nel 1974 co-fonda e dirige la Zilog, dove progetta il microprocessore Z80. Nel 1986 Faggin co-fonda e dirige Synaptics, che sviluppa i primi touch pad e touch screen. Il 19 ottobre 2010 Faggin riceve dal presidente Barack Obama la Medaglia Nazionale per la Tecnologia e l’Innovazione per l’invenzione del microprocessore e l’anno dopo fonda la Federico ed Elvia Faggin Foundation, dedicata allo studio scientifico della coscienza.  

L’INTERVISTA A FEDERICO FAGGIN SU THE GOOD LIFE ITALIA 

Lo sfondo della Basilica Palladiana, in piazza dei Signori a Vicenza, non potrebbe essere più adatto. L’armonia delle forme, la cadenza regolare di archi e aperture laterali, le campate di ampiezze variabili, creano un insieme che è più potente delle singole parti. Anche la carriera di Federico Faggin è una somma di parti, un lavoro di squadra che il fisico vicentino ha concertato esercitando le virtù del leader naturale.

È stato infatti grazie ad una sinergia delle menti giuste che Faggin ha fatto nascere, nel 1971, l’Intel 4004, il primo microprocessore e una vera rivoluzione per l’informatica. Un oggetto che, a guardarlo, ha anche lui una sua armonia: i circuiti integrati creano un pattern, ed è la giusta disposizione di queste parti a garantire la potenza dell’insieme.

Federico Faggin ha 77 anni e una lunga carriera alle spalle, ma non smette di guardare avanti e oggi studia la natura della coscienza. Già nel 1986 fonda Synaptics con lo scopo di sviluppare computer capaci di auto-apprendere attraverso strutture di reti neurali. Un’intuizione che anticipava di 30 anni le ricerche nel campo dell’intelligenza artificiale. Dalla fisica Faggin ha imparato che esiste solo un mondo oggettivo fatto di materia, energia, spazio e tempo. «Se la coscienza è una proprietà del cervello, mi dicevo, deve essere possibile riuscire a fare un computer consapevole» racconta con lo sguardo intenso di un uomo che non finirà mai di indagare. «Avevo un comitato scientifico di neuroscienziati molto validi e la domanda che ponevo loro era “Qual è la differenza tra consapevolezza e cervello?” Loro rispondevano “la consapevolezza è un fenomeno del cervello”». In altre parole, non c’è differenza.

Faggin vuole capire meglio e intraprende da allora un lungo e appassionante percorso. Mette a confronto e armonizza la sua mente scientifica con l’intuizione e il suo dialogo interiore con la fenomenologia del mondo esteriore. Una ricerca di cui è parte integrante Elvia Faggin, moglie e compagna di una vita.

Nel 1992 Synaptics sviluppa un’altra invenzione destinata a cambiare il nostro modo di rapportarci alle tecnologie: il touch pad. «È nato da una sciocchezza» racconta. «Una piccola rottura di scatole. Ero nel consiglio di amministrazione di Logitech, che produceva trackball (le palline usate al posto del mouse sui primi laptop, ndr). Ma ogni paio di giorni dovevo aprirlo e pulirlo perché il grasso delle mani lubrificava la pallina. In quel periodo avevo un piccolo gruppo di ricerca e lanciai la proposta di cercare un’alternativa alla trackball ricorrendo a elettroniche a stato solido. In un paio di mesi, abbiamo inventato il touch pad che sostituì i trackball, e anche il touch screen, per il quale non esisteva ancora una piattaforma».

La rivoluzione della mente

Faggin rivoluzionerà il mondo della scienza come ha fatto con quello dell’informatica? «Il mio obbiettivo è capire, non rivoluzionare» risponde con ferma umiltà. «Dopo anni di ricerche ho vissuto un’esperienza che ha ribaltato la mia prospettiva. Era il 1990. Avevo quasi 50 anni e ho avuto un’esperienza percettiva spontanea, non indotta e brevissima, in cui mi sono sentito simultaneamente il mondo e l’osservatore del mondo. Un evento fondamentalmente diverso da quelli ordinari, in cui ci sentiamo separati dagli altri. È stata una rivelazione profonda. Ho capito che dovevo esplorare la mia consapevolezza in prima persona. Io non so se lei sia consapevole, né lei sa se lo sono io. Non possiamo provarlo scientificamente, e questo è parte del problema».

Faggin si affida allora a una psicologa transpersonale, non per rimuovere traumi, ma per capire i processi della mente e aprirsi a idee nuove. Studia, approfondisce, vive altre esperienze. «Dopo quella prima ne ho avute molte altre, come risposta a quello che cercavo. E continua a essere così. Faccio un sogno e mi sveglio con un’idea. So che sono guidato. Come sarebbe possibile, altrimenti? Non è
possibile che ci arrivi da solo. Noi siamo guidati». Il suo candore è illuminante.

Faggin ha trovato nel Diamond Approach, fondato da A. H. Almaas il metodo per indagare le molteplici dimensioni del potenziale umano attraverso un percorso che integra psicologia e spiritualità.

Ritiri, lezioni e meditazioni, studio e pratica segnano 10 anni della vita di Faggin. Finché, nel 2008, capisce come restituire al mondo ciò che, fino a quel punto, era stato un processo personale. Cede ai giapponesi la sua ultima società, Foveon, che produce sensori per l’acquisizione di immagini. Esce dai consigli d’amministrazione di cui era membro e nel 2009 decide che vanno finanziate le ricerche sulla consapevolezza, partendo dall’ipotesi che essa sia una proprietà fondamentale della natura. Conosce studiosi in gamba che la pensano come lui, ma non trovano fondi. Perché la premessa è che la consapevolezza è solo una funzione del cervello. Per questo nel 2011 nasce la Fondazione Federico ed Elvia Faggin. «È stato Federico a volere il mio nome nella Fondazione. Non ho nessun ruolo nell’originare idee, ma quando si sveglia di notte con delle idee, mi sveglio con lui e ne parliamo. In questo senso sono molto partecipe» racconta Elvia. «Spazio e tempo sono due ossessioni di Federico: durante le nostre conversazioni cerca di incastrare i pezzi del puzzle nel suo modello filosofico-scientifico».
«La nostra dinamica Ying-Yang riflette le polarità alla base della vita» conferma Faggin. Nella sua nuova visione, l’ambito fenomenologico, cioè lo studio dei fenomeni anche scientifici, deve unire l’aspetto intuitivo, femminile, con il maschile, razionale. La ricerca di Faggin si è spinta molto lontano dall’idea di creare un “computer consapevole”.

«La scienza e la spiritualità devono trovare un’armonia che oggi non c’è. Sono considerati due campi separati, coesistono ma non si riconoscono. Così riduciamo da un lato la nostra umanità a una macchina, e dall’altro coltiviamo un senso di superiorità riguardo alla scienza e alla materia. Dobbiamo andare oltre, se vogliamo scoprire la natura della realtà».

Un altro modo di vedere

Lo scienziato Faggin ha dunque sviluppato un diverso modo di osservare il mondo e i suoi fenomeni. «Io non posso osservare direttamente il mondo interiore di un’altra persona. Devo cercare di capirlo interpretandone i segni: le parole, il comportamento, l’insieme dell’aspetto fisico. La nostra coscienza, però, che assumo esista prima dello spazio-tempo, può percepire gli altri come se stesso». Può sembrare strano, ma, come spiega Faggin, è lo stesso tipo di contraddizione che sta alla base della fisica quantistica. «Il qubit, cioè il bit quantistico è sia zero che uno. È allo stesso tempo vero e falso. Ciò deriva dal fatto che la realtà è olistica. Non esiste una parte distinguibile dall’altra. La fisica classica è riduzionista e le sue parti sono separate e identificabili. La meccanica quantistica è olistica, e le sue parti sono i campi quantici. Questi sono identificabili, ma inseparabili: sono “parti intero”, cioè gli aspetti identificabili di un universo indivisibile. Nel modello che sto mettendo a punto, il campo quantico è solo l’aspetto fisico di una entità più vasta che chiamo “unità di consapevolezza”. L’unità di consapevolezza è un sé cosciente con un aspetto interno semantico e un aspetto esterno simbolico. I due aspetti si riflettono l’un l’altro. Come le due facce di una stessa medaglia».

La ricerca di Faggin si è spinta molto lontano dall’idea di un “computer consapevole” capace di programmarsi da solo mimando il processo decisionale dell’uomo. Oggi Faggin è giunto alla conclusione che quel tipo di calcolatore non si può progettare. «Come faccio a tradurre quello che provo in segnali elettrici o biochimici che sia, e viceversa? Percepiamo la realtà attraverso sensazioni e sentimenti, emozioni e pensieri. Che non hanno niente a che vedere con i segnali elettrici». Non è una resa della scienza: solo la conclusione che il vero “computer” da studiare è dentro di noi.



Faggin: «Una fesseria la paura dei robot»

http://www.metronews.it/19/05/17/faggin-%C2%ABuna-fesseria-la-paura-dei-robot%C2%BB.html

C’è un prima e un dopo Federico Faggin.  E il dopo plasma l’ambiente in cui siamo immersi: il mondo digitale accessibile, portatile e flessibile. Scienziato, inventore, imprenditore, visionario, Faggin, vicentino classe 1941, eccellenza trasferitasi nella Silicon Valley  nel lontano 1968, è il padre universalmente riconosciuto del micropocessore,  tassello essenziale nel cammino che ha trasformato tra le altre cose i telefoni in supercomputer portatili. Nel libro Silicio (Mondadori, p.310, 22 euro) racconta la sua straordinaria avventura, che comprende anche l’invenzione del touchscreen e la dura battaglia per  vedersi riconoscere la paternità delle sue invenzioni, culminata nella Medaglia Nazionale per la Tecnologia e l'Innovazione che gli tributò Obama nel 2010.

Che effetto le fa vedere tutta questa gente che cammina inchiodata allo schermo di un cellulare: si sente un po’  responsabile?

«Assolutamente no. Sono preoccupato per questi ragazzi con la testa nel telefono. Ma se uno crea una cosa che può essere usata bene o male, poi come la si usa non è colpa sua. Avessi creato una bomba, ma ho sviluppato tecnologie che fanno anche un gran bene».

Un esempio di cosa le dà particolari soddisfazione?

«Tutte le applicazioni mediche. In un pacemaker c’è un piccolo microprocessore. Ora ho investito in una ditta che fa elettrocardiogrammi via cellulare e in India, nelle campagne, fa furore».   

Con le sue invenzioni non dovrebbero darle il Nobel?

«La combinazione della tecnologia Silicon Gate più il microprocessore potrebbe valere il Nobel».

Nel suo libro scrive: sono nato a nuove vite quando ho smesso di razionalizzare, ho ascoltato la mia intuizione e mi sono aperto al mistero. Detto da un fisico e da un inventore di circuiti integrati è strano.

«Perché? La scienza ti obbliga a sperimentare e calcolare tutto. Ma le idee ti arrivano da canali sconosciuti. Mi è capitato di andare a letto arrovellandomi su un problema e svegliarmi la mattina con la soluzione. Un sogno ti indica una strada, poi però devi lavorare duro per metterla in pratica. Per il microprocessore è servito un 1% di intuizione, ma senza quello non ci sarei arrivato. Me lo sono immaginato e poi ho dovuto trovare il modo di farlo, ci ho messo 9 mesi ma poi  è stata la tecnologia dominante per 40 anni».

Perché l’Intel, presso cui ha realizzato il primo microprocessore nel 1971, l’ha oscurata?

«Quando nel 1974 me ne sono andato creando la mia azienda mi hanno visto come un concorrente e hanno deciso di seppellirmi. Devo a mia moglie Elvia e alla sua ostinazione se alla fine mi è stato riconosciuto quello che era mio. Io avrei mollato».
Ha detto no a Steve Jobs.
«Voleva l’esclusiva sul touchscreen, ma per noi era antieconomico».

Siamo tutti un po’ terrorizzati per come l’intelligenza artificiale cambierà la nostra vita, c’è chi dice che renderà gli umani obsoleti, almeno dal punto di vista del lavoro  e le macchine decideranno per noi. Lei come la vede?

«Non sono d’accordo con questo catastrofismo: mi preoccupa vedere, e ci sono tanti indizi, gente di cattiva volontà impadronirsi delle tecnologie per cattivi fini. Ma non si risolve togliendo la tecnologia o mettendo più leggi o regolamenti ma educando le persone».

Non crede che alla fine le macchine penseranno meglio di noi?

«Questa è una fesseria molto diffusa. Pensare non è fare calcoli. La coscienza è un’altra cosa: dove noi siamo meglio delle macchine non è nei calcoli ma nella fantasia, nell’intuizione e nella consapevolezza, che una macchina non avrà mai.  Per questo ora ho deciso di occuparmi della coscienza e con mia moglie abbiamo creato la Federico e Elvia Faggin Foundation che finanzia studi sulla coscienza».

Come si studia la coscienza?

«Attraverso la fisica quantistica e l’esperienza spirituale che ci rende unici e insieme connessi. Ogni campo quantico, ogni particella elemntare non è un oggetto ma un entità,  un sè fatto di significati. Lo dicevano già migliaia di anni fa i Veda, i testi sacri indiani. La fisica teorica e l’esperienza spirituale possono dialogare».

Lei è un cervello fuggito?

«Ma no, quando sono partito in Italia c’erano molte opportunità, c’era l’Olivetti ma io per una serie di circostanze ho scelto di andare là e rimanerci.  I giovani italiani di oggi invece non hanno scelta, devono andare via perché non trovano un lavoro adeguato nel loro paese. L’Italia ha perso la sua voce, molte delle cose che funzionavano non funzionano più.  Molte aziende che si occupavano di tecnologie sono fallite oppure sono state inglobate. C’è bisogno di un risveglio».

Tornerebbe in Italia?

«Vengo spesso a Vicenza, mi sento italoamericano, ma soprattutto cittadino del mondo».

PAOLA RIZZI @paolarizzimanca

Una vita a ritmo di chip
Dal 1968 Faggin vive negli Stati Uniti. Fu capo progetto dell'Intel 4004 e responsabile dello sviluppo dei microprocessori 8008, 4040 e 8080. Fu anche lo sviluppatore della tecnologia MOS con porta di silicio (MOS silicon gate technology), che permise la fabbricazione dei primi microprocessori. Nel 1974 fondò la Zilog, dedicata esclusivamente ai microprocessori, presso cui dette vita al famoso microprocessore Z80, tuttora in produzione. Nel 1986 Faggin cofondò la Synaptics, che sviluppò i primi Touchpad e Touch screen

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