Ci tengo a premettere che sarò un po’ autobiografica e probabilmente dirò cose inopportune in un modo inopportuno ma vorrei cercare di spiegare alcuni concetti che dovrebbero essere semplici ma che nella testa di molti non riescono a entrare. Eppure è facile. Vi racconto una storiella, una storia vera. Un aneddoto molto breve e chiaro, a tratti potrebbe fare anche ridere. Invece no.
Devo andare in Africa, nel deserto, in un campo profughi. Come fare il viaggio al contrario di un qualsiasi migrante africano, però con tutto al contrario. Sono italiana, il mio paese (il governo e molti dei suoi abitanti, intendo) fa schifo ma non è in guerra, non è sfruttato né vittima del neocolonialismo. Fa solo parecchio schifo, uno schifo abbastanza autonomo se vogliamo dirla così. Ma io non sto scappando da niente, io faccio un viaggio. Pago il passaporto e lo ottengo senza problemi, mi pago il biglietto aereo anche questo senza problemi. Parto, prendo due aerei e atterro nel deserto. Gli aerei non sono come quelli su cui vola il presidente USA, con i salotti incorporati ma insomma sono sempre più sicuri di un peschereccio. Gli aerei mi spaventano ma non è un viaggio della speranza, si atterra sani e salvi. La zona è completamente militarizzata e monitorata dall’UNHCR. Atterro in questo piccolo aeroporto militare. Scendo dall’aereo, mi fermano per i normali controlli di routine e mi tengono lì. 15 minuti forse più in aeroporto tra i militari che mi fanno mille domande a cui non so se devo rispondere in francese o in spagnolo o in arabo o che cazzo ne so. Mi sequestrano la macchina fotografica e mi cancellano le foto, non lo so perché ma non gliel’ho mai chiesto. In quel momento ho solo pensato che sarei finita arrestata senza un vero motivo e sbattuta in una prigione di merda a non so quante migliaia di km da casa. Senza motivo. In quei minuti di mio terrore, i miei compagni di viaggio mi erano sembrati abbastanza divertiti da tutta la situazione, sicuramente consapevoli che non mi sarebbe mai successo nulla. Perché? Forse perché sono italiana, ho dei documenti regolari, non c’era alcun motivo per trattenermi, alcun motivo per creare eventuali problemi politici.
Direte, a ragione, che è un paragone di merda e in effetti lo è. Sono una privilegiata, andare via dal mio paese non è una ragione di vita o di morte, e anche se volessi andare per lavorare o studiare altrove non avrei problemi. Sono italiana, bianca occidentale, posso pagarmi i pezzi di carta che accertano la mia esistenza e muovermi senza problemi. Al massimo potrei farmi fermare altri 15 minuti da un militare qualsiasi, giusto per fare un po’ di scena ma questa volta mi farei su una risata anch’io, ché tanto ora so che nessun governo straniero mi toccherà mai, con ogni probabilità.
Il paragone fa schifo, direte, se un migrante (e non un migrante qualsiasi, ma un migrante che arriva dal cosiddetto Sud del Mondo, quello povero, quello che ci fa pena, quello che ci ruba il lavoro, quello che ci fa schifo e ci porta l’ebola) parte per l’Italia, fuggendo da guerre, carestie, malattie e miseria, ha davanti solo destini di merda: mesi o anni infiniti per ottenere il diritto di asilo o il permesso di soggiorno, centri accoglienza dove faranno soldi sulla sua pelle, sfruttamento lavorativo, la detenzione in un CIE o in un Cara, la morte ancora prima di arrivare sul suolo italiano.
Esci da un inferno e te ne danno almeno un altro paio. Il paragone fa schifo ma mi serve perché forse rende un po’ l’idea di cosa significhi viaggiare per un privilegiato e cosa voglia dire il viaggio per una persona “illegale” senza fogli di carta, una persona che non ha il diritto di esistere e di muoversi, quel diritto scritto sul foglio di carta che noi abbiamo i soldi per comprare.
Qui dovrei partire con un pippone politico sulla questione delle frontiere, della libertà di movimento, della necessità di strappare il regolamento di Dublino e farne coriandoli ma lascio perdere, ché non mi basterebbe un giorno.
Parliamo di come abbiamo deciso di risolvere il problema, di come abbiamo già individuato responsabilità, di quante parole di cordoglio abbiamo già sprecato. Parliamo di Renzi che dal giorno della tragedia ci ha illuminato dicendo che i migranti muoiono per colpa degli scafisti. Il giovane Renzi deve aver mancato la lezione in cui si imparava a distinguere l’effetto dalla causa e adesso pensa che gli scafisti vadano a strappare le persone dalle proprie vite tranquille e le buttino in mare su imbarcazioni di fortuna. Renzi forse spera che non ci pensiamo (e sì, ha ragione lui, non ci pensiamo) al fatto che se le persone ricorrono agli scafisti è perché stanno scappando dalle bombe o dalla fame (che è sempre colpa nostra,
se ci pensi), che non possono prendere un aereo come potrei fare io e andarmene a cercar fortuna all’estero senza ostacoli. Renzi ha detto che è colpa degli scafisti e noi ci crediamo che la soluzione sia tutta lì, bloccare le partenze, mettere delle grandi navi per fermare qualsiasi tentativo di fuga e salvezza; da lì ad affondare i barconi come ha detto quell’altra luminare che è la Santanché il passo è davvero breve. Trasformarsi nel Salvini di turno è un gioco da ragazzi, scaricare le responsabilità e fingersi ciechi lo sport per eccellenza del nostro governo.
Qualche giorno fa la Camera ha votato per istituire la giornata in memoria delle vittime dell’immigrazione, ha detto che è stato un atto coraggioso, una scelta di civiltà. Curioso, no? Prima ammazzi la gente, la lasci annegare perché a casa tua non la vuoi, poi ti inventi una giornata per ricordare tutte le volte che hai fatto affondare un barcone. Poi te ne dimentichi di nuovo e intanto i migranti continuano a morire, in mare, in prigione, nei CIE.
Li ammazzi tu, ma comunque per un giorno hai pianto e quindi va bene così.
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