martedì 24 giugno 2014

Rolling Stones a Roma: il concerto della vera Satisfaction



Canzoni intramontabili. Duelli chitarra-armonica. E 70 mila fan in delirio. Cosa ci resta dello spettacolo di Jagger & Co.


Schizzano in cielo fuochi d'artificio mentre Keith Richards spreme le ultime note daSatisfaction e pare il suono della vita che si arrende dopo tutto quello che ha combinato.
Ecco, un attimo di 130 minuti si è bruciato alla fiamma dei Rolling Stones e ci voleva un concerto esagerato per dimenticare l'atroce supplizio, da schiavi sotto un sole feroce in un Circo Massimo che gronderà anche storia ma non era una soluzione razionale per 70 mila disgraziati aggrappati sette, otto, 12 ore alla nuda terra lercia dei declivi, tutti in piedi in bilico, come un immane mostro troppo gelatinoso per franare a valle sopra altri disgraziati.
Effettivamente lo spettacolo è stato implacabile. Di inattesa virulenza, talmente riuscito da generare malinconia: verrà il momento in cui dovranno smettere, anzi quel momento è sempre più vicino, ma come può fermarsi gente capace ancora di fare quello che si è appena visto?

PIÙ LENTI, MA PIÙ GODIBILI. Un concerto dalla scaletta annunciata, ma con versioni fortemente rallentante, il che andava benissimo perché canzoni così sincopate sono più difficili da suonare ma anche più entusiasmanti da ascoltare una volta che sai come prendere le misure al tempo.
Uno show anche fatto di momenti diversi, dove ciascuno prima o dopo ha la sua luce. SeJumpin' Jack Flash è il biglietto da visita di tutto il gruppo, le successive Let's Spend the Night Together, It's only Rock and Roll, Tumbling Dice, Streets of Love, Respectable (con un evitabile John Mayer), la potentissima Doom and Gloom, Out of Control sono anzitutto il dominio di Jagger, la cui performance ormai è fuori dalle leggi della biologia così come è oltre quelle della ruffianaggine il suo vaticinio: «Italia campione del mondo, Uruguay battuto 2-1» (fortuna che gli scappa un ghigno carognesco).
Honky Tonk Woman lascia spazio al tastierista Chuck Leavell, Miss You esalta il basso di Darryl Jones prima e il sax di Bobby Keys poi, Gimme Shelter è per la corista Lisa Fischer, che in 25 anni avrà messo su minimo altrettanti chili ma non sulla voce che resta superba,Sympathy for the Devil, che con i suoi giochi di fiamme sembra evocare Nerone che brucia Roma, è di nuovo il sabba di Mick (ma pure le raffiche implacabili di Keith), il bis di You Can't Always Get What You Want sfodera un coro intero, affidato alla Gioventù musicale, mentre da parte sua Richards prima restringe il Circo alle dimensioni di un pub per You got the Silver, contrappuntato da Ronnie alla slide, quindi lo dilata alle dimensioni originali per la sfuriata elettrica di Can't be Seen.
VIRTUOSISMI DI TAYLOR. Quanto a Midnight Rambler, è largamente per i virtuosismi di Mick Taylor redivivo, e, beh, mette ancora inquietudine e un po' perché Jagger sembra effettivamente entrare nei panni del mostro di Boston, lo strangolatore Albert de Salvo, e un po' perché la quinta ora spettrale del Circo imperiale non può non evocare evocare fantasmi ancora più lugubri.

La nuova rivalità Jagger-Richards accende la Capitale

Hanno tutti delle facce spaventose, impossibili, soprattutto Keith che in alcune espressioni faceva paura e pareva sul punto di esplodere in una nuvola di polvere, come quei vecchi palazzi trattati a dinamite. Ma proprio questa tetra energia è il valore di un concerto dove tutto pare buttato alla rinfusa e invece una regia sapiente evoca, per subito abbandonarli, elementi di opera lirica, melodramma, balletto mitteleuropeo, teatro kabuki, barrel house, jazz club, design postindustriale, pop-cultura, gigantismo architettonico, intessuti lungo il filo di un rock and roll duro e scintillante come le facce di un diamante.
Il bello di uno show dei Rolling Stones, a parte la forte teatralità del tutto, sta nella collisione di carismi: se Mick Jagger è ancora competitivo come all'inizio, pronto ad annientare qualsiasi arrogante pretendente ventenne al suo trono di suprema rockstar, Keith Richards ha viceversa una luce di comprensione ferita nello sguardo, una sorprendente dolcezza che però scocca lampi preoccupanti: amico non sottovalutarmi, io sono sempre io.
Forse nel suo personaggio di Capitan Teague, il capo della Filibusta nei Pirati dei Caraibi, c'è molto più di una trovata disneyana.

L'AFFIDABILITÀ DI WOOD. Quanto a Charlie Watts, è il totale antiromanticismo di uno che da 50 anni sta nel gruppo più turbolento di tutti i tempi e mai una sbavatura, mai un eccesso.
Infine, Ronnie Wood è la pura gioia di vivere di un bambino amorale. Ma Ronnie è anche quello che a 60 anni suonati ha dovuto imparare a trasformare la sua leggendaria irresponsabilità in una affidabilità a prova di concerto; oggi sul palco è quello che sbaglia di meno, e il suo assolo al termine di Midnight Rambler è stato semplicemente clamoroso.
LO SPETTACOLO SUL PALCO. L'altro elemento decisivo di uno show di Rolling Stones sono le loro facce: questi suonano con le facce e qui si capisce che i maxischermi non servono solo a far capire cosa succede su un palco distante 300 metri ma consentono pure la narrazione di uno spettacolo in continua mutazione, scandito da cenni d'intesa (da tempo non si vedevano Jagger e Richards, che per lo più si evitano, interagire, abbracciarsi, perfino sfidarsi in epici duelli chitarra-armonica), da sguardi esaltati, sfiniti, furibondi, minacciosi (il ceffo mirabile di Keith quando spara l'intro di Start Me Up non trova parole).

CANZONI INTRAMONTABILI. Queste sono canzoni di 40-50 anni fa che trovano nuova linfa ogni volta e non lasciano eredi, come non ne lasciano i loro demiurghi, cupi soggetti che da mezzo secolo fanno felici milioni di persone di tutte le razze e di tutte le idee, essenzialmente restando i mascalzoni che sono. E questo non è un concerto. È un altrove.
Ci sono i concerti, belli, noiosi, grandiosi, e poi ci sono i Rolling Stones che sono tutt'altra faccenda ed è davvero incredibile, e straziante, e assurdo che tutto debba finire, stanotte, domani o quando sarà, perché il mondo perderà una forma d'arte irripetibile.
UNA RESA IMPOSSIBILE. Che cos'hai fatto, Tempo, che cosa hai fatto, che ti sei mangiato via le stagioni loro e anche le nostre, di noi che adesso sciamiamo per le strade, sotto gli inferi della metro tutti a testa bassa come deportati in attesa del treno e negli occhi abbiamo rossi fuochi d'artificio, coriandoli di sangue sopra al Circo Massimo mentre Keith spreme l'agonia daSatisfaction e pare il suono della vita che non si arrende, non ne ha ancora abbastanza dopo tutto quello che ha combinato.

Nessun commento:

Posta un commento