domande di Nicola Righele
1 – Hai iniziato a suonare Blues parecchi anni fa, quando il Blues in Italia ancora non esisteva. Quando hai iniziato precisamente? E perché hai scelto di suonare proprio questo genere?
Ho iniziato a suonare il blues diciamo nel ’77-’78. Non è stata una scelta cosciente, perché negli anni precedenti avevo fatto parte anch’io delle tipiche band degli anni ’60 dove si facevano cover dei Rolling Stones, dei Beatles e degli Animals. Poi quando compravi i loro dischi, all’epoca c’era il vinile, vedevi scritto “C. Berry” e ti chiedevi “chi diavolo è questo qua?!”. Cercando di andare a capire da dove andavano ad attingere i nostri idoli dell’epoca, alla fine ho scoperto che tutte le cose che mi piacevano avevano una matrice comune che era il blues e io a quel punto ho deciso di darmi da fare in quella direzione.
2 – Sei stato citato nell’Enciclopedia del Blues e della Musica Nera e anche nell’Enciclopedia della Chitarra e dei Chitarristi. Confermi questi dati?
Ahimé si!
3 – Bene! Allora questo fa di te un Bluesman ed un Chitarrista con B e C maiuscole! Quali sono stati i modelli che ti hanno permesso di arrivare a questo risultato?
Sicuramente il mio punto di riferimento principale, anche se si sente fino ad un certo punto, è stato Johnny Winter. Io l’ho adorato fin da quando ho preso i primi dischi. Lo conosco fin nei minimi particolari. Potrei perfino fare una Tribute Band di Johnny Winter. Non lo farei mai, però potrei farlo. Johnny, nonostante il suo aspetto da popstar, ha come punti di riferimento i bluesmen degli inizi: lui li conosce tutti. Lo si sente perché se vai ad ascoltare a fondo quello che fa c’è molto fingerpicking, c’è Mississippi Fred McDowell… insomma, ha dei punti di riferimento ben precisi che dopo, ovviamente, ha sviluppato in un modo tutto suo. Tramite lui io ho imparato a conoscere i vari Albert King, Freddie King e da lì poi nasce l’amore, la passione, vai a scavare. La cosa che mi sorprende è che suono la chitarra – per carità, la adoro, è uno strumento con cui mi sento molto a mio agio, in maniera anche passionale- però non mi sento proprio un chitarrista: io non sono mai stato e mai lo diventerò un virtuoso della chitarra. Io avrei potuto suonare qualsiasi altro strumento perché è il prodotto, il pezzo, la canzone, il groove quello che conta di più.
4 – Si, infatti so che ti reputi più cantante che chitarrista.
Si. Nel bene e nel male, perché non ritengo di avere una voce eccezionale, per carità, però è il modo di porti l’importante, no?
5 – Si certo, lo strumento è il tramite con il quale comunichi. Che sia la voce o la chitarra non fa differenza, basta comunicare. Procediamo: tra i tanti musicisti con cui hai collaborato spicca il nome di James Cotton. Io, da armonicista, devo togliermi questa curiosità: com’è suonare con leggende viventi di quel calibro?
Guarda, è la cosa più semplice di questo mondo, perché con loro non ti trovi mai a disagio. Più grandi sono meno disagio provi, è una cosa pazzesca! Non è il solito discorso che si fa “ma sai i grandi sono grandi ma anche umili” e le solite storie romanzate. Non ci sono problemi veramente! Da loro ho imparato un certo tipo di feeling: ovvero, non c’è mai una gara con loro, non c’è competizione. C’è solo l’esprimersi. L’esprimersi come puoi e con tutta l’intensità che ti è possibile. Loro non stanno a guardare se fai l’accordo giusto, se fai la notina ricercata. Quello che gli interessa è ciò che comunichi e ciò che percepisci di quello che comunicano loro, perché questo è il loro tesoro. L’abilità tecnica, sai, è una cosa che conta fino ad un certo punto. Alle volte piuttosto che un linguaggio ricercato alla Gabriele D’Annunzio vale più una bestemmia di uno scaricatore del porto di Marsiglia, che esprime di più, magari più volgarmente, ma anche più intensamente!
6 – Condivido tutto ciò che hai detto, perché le stesse cose le ho provate anch’io suonando con te…
Ah, perché io sarei “il grande”, secondo te?!
7 – Tu ridi, ma se sono qui a farti queste domande è perché sotto sotto un po’ di stima c’è!
Va ben, va ben dai… Facciamo finta che vada bene…
8 – Torniamo in tema con una domanda che ad uno che suona da una vita non si può non fare: com’è cambiata nel corso degli anni la scena musicale italiana?
Io le fasi della musica in Italia, per questioni anagrafiche, le ho vissute tutte. La grande differenza che si è delineata negli anni è tra il fare musica da ascolto e il fare musica da ballo o da consumo, mentre negli anni sessanta questo non c’era. Io mi ricordo che si andava nelle sale da ballo – all’epoca non c’erano le discoteche – e facevi esattamente gli stessi pezzi che ti piacevano e che ascoltavi a casa. Per esempio, io ascoltavo “Satisfaction” dei Rolling Stones ed era lo stesso pezzo che poi andavo a riproporre nelle sale da ballo. Poi, con la storia della Disco Music, si è venuta a creare un’enorme frattura tra ciò che ascoltavi a casa per il puro piacere di ascolto e ciò che invece serviva per il ballo o per l’intrattenimento. Poi sono arrivati i periodi del Rock barocco: se non avevi mille sintetizzatori, impianti luci e laser non eri nessuno. Abbiamo dovuto attendere il Punk che finalmente ha riportato la musica sanguigna suonata per davvero con chitarre molto crude e dirette, senza tanti orpelli. La musica ha sempre avuto delle “polmonazioni”: momenti di espansione e momenti di contrazione. Adesso siamo decisamente in un periodo di contrazione, sotto tutti i punti di vista. Sembra che ci sia spazio solo per Tribute Band. Per carità, io le rispetto tantissimo, penso che nella musica ci debba essere spazio per tutti, anche perché in giro c’è gente veramente brava; però sembra che se tu non fai la parodia di qualcosa che esiste già non vieni considerato. Che ci siano anche questi, ma un po’ di spazio anche per noi, no?
9 – Qual è stato il concerto a cui sei rimasto più affezionato e del quale conservi ancora un bel ricordo?
Guarda caso, quello con James Cotton. Quella è una persona che al di là della bravura, delle leggende, al di là di tutto quello che si può raccontare… insomma, non è per caso che lui fosse nella band di Muddy Waters, non è per caso che lui avesse iniziato da bambino con Sonny Boy e i vari grandi. Al di là che uno suoni l’armonica, la chitarra, il basso o qualsiasi altro strumento, è soprattutto il modo che loro hanno per affrontare la loro musica, che mi fa venire voglia di dire che noi non ci arriveremo mai. Poi mi pento di averlo detto perché in questo modo mi tiro la zappa sui piedi, però c’è poco da fare, loro hanno una marcia in più. Loro fanno una nota… non ne fanno mille… però con quell’una nota che fanno ti uccidono. C’è poco da fare. Tu quella nota là non la becchi mai!
10 – Vuoi dare qualche consiglio ai giovani che si vogliono avvicinare alla musica Blues?
Io sono stato a lungo allievo di Alexis Korner, il padre del blues inglese. Per me è stato un padre putativo. Prima di un enorme musicista era un enorme uomo che quando parlava c’era solo da ascoltare in religioso silenzio. Lui diceva “si, il blues è nato in America, è nato dagli afroamericani, è nato in quei contesti; ma oggi il blues è diventato un linguaggio universale”. Io non ho consigli da dare perché non salgo in cattedra, ci mancherebbe altro, però credo che quello che manchi, non solo nel blues ma in qualsiasi tipo di approccio musicale, sia l’amore per quello che si fa. Ami il blues? Ti senti attratto dal blues? Fai una ricerca, va ad ascoltarti i padri, quelli veri. Ammiri qualcuno? Vai a vedere chi è l’autore dei pezzi che sta facendo quello che ammiri. Vai a vedere nelle interviste chi ammira il personaggio che tu ammiri. Ama le cose che fai, falle intensamente! Non concederti il lusso della pigrizia. “Ah si il blues sono tre accordi”… non è così! Cosa c’è dietro ai tre accordi? Il blues è fatto di tre accordi, si, ma che cos’è che rende un pezzo diverso dall’altro? Cos’è che ti fa venire la passione dentro? Quello devi cercare. Non le mille note al secondo, che ormai non interessano più a nessuno. E’ una gara? Cosa vuoi vincere? Dopo Steve Vai e Joe Satriani cosa vuoi fare? Vuoi andare ancora più veloce di così?
11 – Hai in uscita qualche disco? Hai qualche progetto futuro in ambito musicale?
Assolutamente si! Sto preparando qualcosa, da pazzo ovviamente, perché sono imprese che dal punto di vista economico sono assolutamente fallimentari, però io non riesco a rinunciarci. Ho ancora voglia di rompere le scatole alla gente. Se mi telefonavi 5 minuti fa mi trovavi con la chitarra in mano, perché sto registrando nel mio studiolo di casa dei provini per dopo farli con la band. Come si intitoli questo nuovo lavoro o cosa ne verrà fuori non sono ancora in grado di dirtelo.
12 – Ho tenuto per ultima la domanda più difficile. Cos’è per te il Blues?
….ullallà! Il Blues è uno stile di vita, prima di tutto. Detta così dice tutto e dice niente. Il blues è veicolo con il quale io ho trovato modo di entrare in contatto con la musica. Il blues è quello che mi fa esprimere quello che ho dentro. Quello che mi crea emozioni. Ed è il blues che mi permette di tirare fuori le mie emozioni da dentro e darle a chi mi ascolta… boh… è una bella domanda, questa…
13 – A me come risposta basterebbe, ma se vuoi ti richiamo questa notte così hai il tempo di pensare a qualcos’altro!
No no, io credo nell’assoluta spontaneità. Anche quando faccio dischi non vado mai a correggere gli errori, li lascio perché secondo me un disco deve essere una fotografia di quel momento. www.stefanozabeo.it
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