mercoledì 11 maggio 2011

30 anni fa Bob Marley ci lasciava

Alle 11.30 del 11 maggio con un filo di voce Bob disse: “Non piangere per me mamma, andrà tutto bene”. Pochi minuti più tardi chiese dell'acqua e la bevve fino all'ultima goccia. Sua madre fu contenta, erano giorni che non mangiava e non beveva. Poi lo girarono per fargli una radiografia, era pieno di flebo e ci volle del tempo per rimetterlo nel verso giusto, più comodo per lui. Si lamentò che aveva passato gli ultimi 6 mesi con gli aghi delle flebo dappertutto. Disse allora che si sentiva stanco, aveva voglia di dormire, strinse la mano della mamma e sussurrò “Vieni più in qua, stammi più vicina”

Fu allora che perse conoscenza, i suoi occhi ruotarono all'indietro e cominciò a rantolare finché un'infermiera non gli mise una maschera ad ossigeno per aiutare il respiro. Cedella lasciò la stanza e pochi minuti dopo un dottore uscì e disse che Bob se ne era andato.
Era mezzogiorno del 11 maggio 1981

La sua morte, ancora oggi, è un evento duro da accettare.
La leggenda del profeta del reggae non è finita con la sua morte, ma continua ad essere tramandata di bocca in bocca, di memoria in memoria, arricchendosi ogni giorno di nuove sfumature, di nuovi particolari.
Negli anni la sua malattia e la sua morte hanno assunto un significato simbolico tale da astrarla dalla realtà per diventare come la passione e la crocifissione di Gesù. In molti paesi del Terzo Mondo la sua figura è quella di un novello Cristo che si è sacrificato per lanciare il suo messaggio di salvezza al mondo. In Giamaica o presso gli indiani Hopi del Nuovo Messico, in Nepal, dove molti lo considerano la reincarnazione di Vishnu come tra i Maori della Nuova Zelanda o come tra i poveri dell’Indonesia, dell’India e di quelli dell’Africa Occidentale, nelle favelas brasiliane come nelle periferie delle immense capitali dei Paesi un tempo in via di sviluppo e ora ricacciati indietro dalla globalizzazione, Marley è visto come un redentore sceso sulla terra per guidarla fuori della disperazione e dal caos. Le parole delle sue canzoni assumono il valore di una preghiera da recitarsi in tanti piccoli riti individuali o collettivi.
Se per gli occidentali le sue canzoni contengono verità interiori che possono far ripensare al proprio personale modello di vita, per i popoli dei Paesi poveri il significato va oltre, fino a mettere in discussione lo stesso sistema sociale, politico e religioso in cui vivono. Questa è la sua vera eredità, questo è ciò che lo fa vivere quotidianamente nei respiri e nelle speranze degli abitanti di Babilonia

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