domenica 31 agosto 2025
Soul Shakedown Party on Hitz 92 FM Jamaica August 14
https://www.podomatic.com/podcasts/piertosi/episodes/2025-08-25T14_45_17-07_00
https://piertosi.podomatic.com/enclosure/2025-08-25T14_45_17-07_00.mp3
Cienfuego/Luciano – Pinto Wanted (1826 Reloaded album, Cienfuego)
Luciano – No Joke (Stillworking single)
Raphael – Music Everyday (Stillworking single)
Carlton Livingston – Call The Police (South Rockers single)
Norris Man – Rought Times (South Rockers single)
The Originals – Re Senza Trono (Originals single)
Black Slate – Lovers Rock (Black Slate promo)
Kyla/Ariwa Posse - Dub Daydreaming (Ariwa single)
Kelissa – Way You Make Me Feel (Kelissa Music single)
Mortimer – Balcony Swing (From Within album, Overstand/Easy Star)
Maxi Priest – Best Of Me (Bonafide album, 10)
Earl Sixteen - Raiders (Them A Raiders album, Rockers)
Earl Sixteen - Survivors (Them A Raiders album, Rockers)
Earl Sixteen – Malcolm X (Soldiers Of Jah Army compilation, Patate)
Earl Sixteen – Natty Farming (Natty Farming album, A-Lone)
Lone Ark Rhythm Force/Roberto Sanchez – Farming Dub (Natty Farming album, A-Lone)
Lee Perry – Dub A Come (Upsetter Dub compilation, Black Art/Heartbeat)
I trenta anni del Rototom, il festival dei record che l’Italia ha lasciato andar via
L’evento, legato a una nicchia profondamente alternativa, quella della musica reggae, con piccole incursioni su rap politicizzato e world music, è nato e cresciuto nel nostro paese. E, nel momento del suo picco massimo, ha deciso di fargli la guerra. In Spagna arriva ad attirare 200mila persone a edizione
Questa è una storia molto particolare. Una storia di come l’Italia abbia avuto a lungo uno dei festival musicali più grandi d’Europa, un evento di culto, capace di radunare una quantità incredibile di persone; e sia però stata capace di farselo sfuggire, senza colpo ferire.
Anzi, con più precisione: l’ha proprio cacciato. Piangendo in qualche caso lacrime di coccodrillo quando ormai era troppo tardi. Perché sì: oggi che con la scusa dei sold out più o meno finti e più o meno veri, si parla tanto di festival e di musica dal vivo (e di come i prezzi attorno a queste realtà stiano crescendo vertiginosamente, tanto nei biglietti quanto nelle spese accessorie come drink, cibo, parcheggi, metodi discutibili di pagamento progettati apposta per “grattare” qualche euro in più), fa sorridere come per anni nella nostra nazione ci sia stato un evento musicale gigantesco a costi calmierati, orgogliosamente anti-commerciale, di grande personalità e rilievo globale, con un legame fortissimo e onesto col proprio pubblico. Un’eccellenza più unica che rara.
Non se n’è mai parlato abbastanza o non se n’è parlato proprio, di tutto questo: i media generalisti sono sempre stati troppo distratti e/o troppo legati a parlare dei soliti nomi e delle solite imbeccate approntate in serie dall’industria musicale.
Uno spreco tutto italiano
Sta di fatto che il territorio italiano ha avuto in sé un evento musicale più unico che raro: l’ha fatto nascere, l’ha fatto crescere e, al momento del massimo successo, ha iniziato a fargli la guerra. Oggi il Rototom Sunsplash – questo il nome dell’evento, e che a molti di voi che state leggendo sfugga e suoni mai sentito prima è ovviamente significativo – vive e prospera in Spagna, dove si è trasferito armi e bagagli nel 2010 e da cui mai, mai, mai tornerebbe indietro. L’ennesima storia esemplare di spreco italiano.
Ma partiamo dall’inizio. Nato tutto come semplice club/discoteca a matrice reggae nella periferica provincia di Pordenone (prima a Spilimbergo, poi a Zoppola), primi anni ‘90, il nucleo del Rototom a metà del decennio inizia con un po’ di coraggio a creare una gemmazione estiva a mo’ di mini-festival dal nome Rototom Sunsplash (Sunsplash è il più grande evento dedicato alla musica reggae, svoltosi prima in Giamaica e poi internazionalmente dal 1978 al 1988. Il nome viene “preso in prestito” con un misto di coraggio e autoironia).
Il successo è moderato, ma solido e crescente: si passa edizione dopo edizione da duemila a ottomila presenze. Nel 1998, quando questa propaggine estiva fa l’esperimento di spostarsi vicino a Lignano, ad Aprilia Marittima, in un campeggio, ecco l’improvvisa esplosione: da tutta Italia arrivano quasi 20.000 persone, tutte attratte dall’etica e dall’estetica della musica giamaicana. Una musica in Italia mai mainstream, tolta l’icona Bob Marley, e fieramente raggruppata in nicchie isolate che erano – e ancora oggi sono – piccoli fortini duri, puri, appassionati.
Sembrava già un miracolo essere arrivati a 20mila presenze, avere insomma radunato tutte queste nicchie, averle attirate da tutt’Italia. Ma il passaggio al nuovo millennio porta un’altra svolta, un altro colpo di coraggio: lo spostamento del festival di nuovo nell’entroterra, a Osoppo, anno 2000.
Il risultato di questa scelta? La media di presenze sale vorticosamente fino 150mila. Sì, 150mila. Con pubblico in arrivo letteralmente da tutta Europa. Una cifra già pazzesca oggi, che di concerti e festival si parla ovunque, figuriamoci allora.
E torniamo però a dire, perché è un punto importante: col fatto che è un festival legatissimo non al mainstream, ovvero al pop e rock da classifica, ma a una nicchia profondamente alternativa, quella della musica giamaicana con piccole incursioni su rap politicizzato, world music e quant’altro, i grandi mezzi d’informazione snobbano la faccenda, non raccontandola, non sottolineandola.
Una omissione superficiale: in Italia avevamo un’eccellenza assoluta a livello mondiale, per giunta particolarissima e in un comparto che ovunque era in vertiginosa crescita, quello dei festival musicali, dei grandi eventi sul campo. Ma noi non ce ne accorgevamo.
La clava della politica
Anzi no, correggiamo: quando ce ne siamo accorti, o meglio, quando soprattutto la politica e la pubblica amministrazione si sono accorte del Rototom Sunsplash, anche solo a livello locale, hanno fatto peggio.
Che in un festival reggae con centinaia di migliaia di persone si consumi droga leggera è una non-notizia (come del resto avviene giornalmente in qualsiasi piazza d’Italia). Basta gestire la cosa. Però no: forse anche perché il Rototom Sunsplash era un festival che calmierava i prezzi, che non cercava l’alleanza facile e un po’ supina con major, brand e grandi gruppi multinazionali, che proponeva un modello di società e socialità alternativa, che non si limitava a sfornar concerti ma proponeva anche talk e workshop “schierati”. Ecco, forse anche per tutto questo c’è stato da un certo momento in poi un accanimento così intenso da sfiorare l’assurdo.
O proprio la farsa: come quando si scoprì che proprio uno dei carabinieri che più si ergeva a paladino della lotta al Rototom Sunsplash e al consumo di droga durante il festival, l’allora comandante del Norm di Tolmezzo, fra i primi a predisporre assurdi controlli a tappeto in nome della legalità cercando per giunta ogni pretesto per mettere sotto accusa e ricatto gli organizzatori, in realtà poi – insieme a un collega brigadiere – spacciava la sostanza stupefacente sequestrata. Dopo aver ammesso le proprie responsabilità, ha patteggiato 4 anni e 18mila euro di multa.
Una clava pesante e definitiva contro il Rototom Sunsplash – generata dalla politica nazionale ma prontamente abbracciata dalle istituzioni locali – fu infine la legge Fini-Giovanardi, promulgata nel 2006: legge che sulla carta prevedeva fino a dieci anni di carcere per chi tollerava l’uso di droghe in locali pubblici. La goccia che fa traboccare il vaso.
Nel 2010, il Rototom Sunsplash – coi suoi palchi, coi suoi talk, coi suoi workshop, col suo senso di comunità – si sposta in Spagna. Dove, guarda un po’, viene accolto a braccia aperte, in primis dalla politica locale. Con questa mossa la media presenze del festival non solo non crolla, sale ulteriormente (ora è sopra le 200mila a edizione).
La politica locale friulana, proprio quella in prima fila nel tentare di sabotare il festival quando l’aveva nel proprio territorio, all’improvviso resta interdetta e progressivamente rimpiange i bei tempi in cui il Rototom portava indotti enormi, sia di soldi che di immagine, oggi inimmaginabili e impossibili. La politica nazionale, beh, manco si accorge di aver perso un’eccellenza italiana a livello globale.
Eppure, ironia della sorte, nel frattempo si è evidentemente accorta di quanto i festival e la musica dal vivo possano essere strategici come comparto, visto per dire l’enorme regalo fatto ai grandi organizzatori (quelli più ricchi, e in realtà i meno bisognosi di esser protetti) durante lo stop del Covid: una leggina che permetteva di trattenere i soldi dei biglietti acquistati in prevendita per concerti annullati per pandemia che si sarebbero svolti sine die.
Ma al di là di questo, l’Italia nel frattempo è diventata una terra dai molti festival musicali. Un ecosistema ramificato ma fragile, il nostro: il modello è prevalentemente quello dei “boutique festival”, eventi che radunano al massimo 10mila presenze. Un modello tanto bello e poetico quanto fragile: infatti molti sono i festival che nascono e muoiono nell’arco di poche edizioni.
Il Rototom Sunsplash, felicemente oggi in Spagna («Non torneremmo mai indietro», sillaba affilato Filippo Giunta, l’uomo in cima all’organizzazione), di edizioni quest’anno ne festeggia trenta. Ah, en passant: la Fini-Giovanardi è stata dichiarata incostituzionale nel 2014.






































